domenica 29 dicembre 2013

PRIMA IL CRAC E POI LA TAC

Potrei cominciare il pezzo descrivendo una bella escursione fatta di sentieri nuovi, colori stupendi Sarebbe molto facile….
In realtà comincerò dalla fine della splendida escursione….
Era andato tutto bene….avevo provato nuovi sentieri…quelli vecchi non mi avevano tradito…
In anticipo sulla tabella di marcia che mi ero proposto stavo rientrando tranquillamente lungo la strada che da Tabiano mena a Salsomaggiore. Al Poggio Diana invece di scendere lungo la strada improvvisamente giro per imboccare la lunga scalinata che taglia tutta la strada e si rimmette più in basso. L’ho fatta mille e mille volte…mai un problema…
Attraverso la strada un paio di scalini e comincio a scendere. La scala è assai bagnata e piena di foglie marce. Ma non ci penso…stupido!!
Abbasso il reggisella e lascio correre la mia Scott. Gli scalini sono bassi e distanziati, non rappresentano difficoltà…
Vado, vado veloce parecchio…
A metà percorso la scalinata presenta una leggera curva, una deviazione appena accennata, ma c’è.
Ci sto arrivando sotto molto veloce. Sto puntando verso la canaletta di scolo acqua sulla sinistra, verso il muro. Non so di preciso cosa sia successo.
Probabilmente ho toccato troppo il freno, o forse, semplicemente ho appena “toccato” il manubrio per correggere la traiettoria. Non so cosa sia successo, ma la ruota anteriore mi ha lanciato a gambe all’aria. Mi sono sentito come Valentino Rossi quando guidava la Ducati…
La mia Scott è scivolata per terra con rumore di ferraglia…mentre io sono volato in malo modo sul selciato. Allungo la mano e istintivamente tento una capriola. Lo zaino e la velocità di caduta impediscono qualsiasi manovra per attutire la caduta. Non me lo aspettavo!!!
Atterro sbattendo violentemente la spalla destra. Andiamo bene…era quella sana…quella rotta era la sinistra. “Adesso siamo pari” penso quando, tentando di rialzarmi mi appoggio alla mano destra e la spalla mi fa urlare di dolore.
Il dolore lancinante mi taglia le energie all’istante.
La testa comincia a girare e le gambe mi fanno “giacomo, giacomo”
Memore di altre “dure esperienze” me la prendo calma, mi corico sulla schiena girandomi con la testa verso il basso e i piedi verso l’inizio della scalinata.
Rimango così, incurante dei vestiti che si stanno inzuppando d’acqua, per diversi minuti.
So che sono a pochi passi da casa…non devo aver fretta. Al limite ho il telefono e posso chiamare.
Speriamo che il mio nuovissimo iphone non si sia rotto nell’impatto.
Non so dopo quanto tempo, passata la “cipolla” provo a rialzarmi.
In piedi ci sto, ma non mi fido.
Mi risiedo ancora qualche minuto e aspetto, per essere tranquillo.
Poi raccatto la mia bici e comincio a scendere i rimanenti gradini. Non so se è per le gambe ancora molli ma scivolo anche a piedi, e l’impresa di arrivare alla strada sottostante è grande.
Arrivo alla strada e provo a risalire in sella. Lascio la sella abbassata e, a piedi staccati scendo un paio di centinaio di metri. L’aria fresca mi tiene lucido, mentre, come in sogno, percorro le poche centinaia di metri per arrivare alla rotonda sottostante. La gente mi guarda stranamente…chissà che espressione ho. Sicuramente sono scombinato e sporco come un maiale (pardon…cinghiale).
Non sono lucido, mi rendo conto di avanzare come su una nuvoletta, in un mondo strano, ovattato dove non ci sono spessori, i rumori arrivano ovattati . Una provvidenziale panchina mi appare davanti all’improvviso. Non ci penso due volte e mi scaravento sul legno da riposo.
Appoggio la bici al muretto e mi accomodo sulla panchina.
Con sguardo apparentemente distaccato osservo le macchine che passano e saluto i passanti che mi guardano un po’ interdetti.
La spalla mi fa male, ma non mi sento proprio sicuro…
Aspetto ancora un po’, poi, con decisione stoica risalgo in bici e prendo la strada di casa.
Dalla panchina a casa mia, per la più lunga saranno 200 metri, il tempo non passa più. Con indifferenza pedalo la salitella degli ultimi 100 metri salutando i vicini di casa.
Con un grande sforzo e dolore apro il garage e parcheggio una infangatissima bici. Non potrò nemmeno lavarla….
In casa mi aspetta il gattino che ha voglia di giocare….non ho tempo per lui, non ho tempo e voglia di giocare. Gli allungo qualche crocca e depositando qua e la la mia roba telefono a mia moglie.
Si agita subito….pianta il lavoro e viene a casa. Nel frattempo, in qualche modo, riesco a spogliarmi e mi butto sotto la doccia. Non posso andare al pronto soccorso sporco e puzzolente come un cinghiale di bosco.
Sotto la doccia bollente mi sento bene…ci sto da esagerato. Sotto il getto bollente riesco a muovermi meglio e riesco a lavarmi.
La cosa mi risolleva il morale. Se avessi ossa rotte non riuscirei a ruotare le spalle e a lavarmi…
Nel frattempo arriva mia moglie…
Avrei voglia di mangiare qualcosa….ma non so cosa può capitare dopo…se mi fanno molto male…se mi devono operare al volo…meglio avere lo stomaco vuoto. Butto giù un sorso d’acqua e salgo in macchina. Flora mi porta al PS…
Al PS c’è il mondo intero.
Faccio un rapido conto dei miei dolori e decido di tornare a casa. Alla fine non ho niente…non mi fa più male niente. C’è gente in carrozzina, altri che stanno male…c’è da star qui due giorni…
Tento di fuggire ma Flora mi blocca con decisione.
Denuncio al medico di guardia l’accaduto e mi metto a sedere aspettando il mio turno.
Mentre tanta gente denuncia agitazione e insofferenza all’attesa io mi metto li e aspetto pazientemente. Flo mi procura un paio di Tex e il tempo mi passa meglio.
E di tempo ne passa.
Finalmente viene il mio turno….
Mi guardano, mi chiedono, scrivono…e mi spediscono a fare i raggi.
Altra attesa….
Dopo un certo tot…un tecnico radiologo un po’ scocciato o comunque con fare poco socievole, mi fa entrare e con estrema indifferenza mi fa mettere in posa e mi fa qualche istantanea.
Poi senza dirmi nulla mi congeda. E torno in sala d’aspetto. Non ho niente da leggere e mi guardo intorno….e aspetto.
Un infermiere mi chiama per andare in “sala gessi”…
Bingo….ci siamo…Flora ride…ma vaffa…
E davanti alla sala gessi c’è tanta gente…e c’è da aspettare.
Aspettiamo pazientemente.
Alla fine, nel senso che ero proprio l’ultimo, entro nello studio dell’ortopedico.
“Si spogli”…”con calma” rispondo accennando alla spalla.
L’ortopedico dice che non c’è niente di rotto. Mi tocca la clavicola, e non sento niente, poi mi tocca dove mi fa male. E’ l’Acromion che ha una lesione di primo grado. Turco schietto!
Che roba è? Pare che sia un legamento della spalla, che si è leggermente lesionato…
Morale della favola: 25 gg di tutore. Mi fanno vedere il modello. Modello robocop incerottato.
25 gg…capperi sotto sale…mi saltano le ferie a Pinzolo…
Incazzato come una vipera esco dalla Sala gessi con Flora che mi insulta.
Ma perché devo stare imballato per un mese quando riesco a muovere tutto….stando fermo un mese dopo avrei tutto bloccato e mi ci vorrà riabilitazione, e altre mille pugnette….
Va bene….va bene….va bene….

Torniamo a casa….e mentre Flora guida piano….ma prende tutte le buche….penso al Trentino….all’Alto Adige….mentre la radio vocifera di metri neve sulle alpi…  

la sequenza del CRAC la potete vedere a questo indirizzo:

venerdì 27 dicembre 2013

Monte S.Cristina in inverno

Un fine autunno limpido e fresco ci ha regalato giornate meravigliose. Il sole ormai basso sull’orizzonte distribuisce i suoi tiepidi raggi sulla terra bagnata. La montagna si divide in zone nettamente distinte. Al sole la terra è quasi asciutta e tende a scaldarsi, all’ombra la brina gelata che nella notte si deposita sull’erba e sui sentieri crea disegni e suggestioni davvero incredibili.
Per motivi familiari e di lavoro per due settimane devo saltare gli appuntamenti sabatini con i soliti amici. Devo però recuperare alcune giornate festive lavorate nei mesi scorsi e decido quindi di spezzare la normale settimana lavorativa con un giornate di recupero. Il bel tempo mi fornisce la spinta giusta. Avendo tempo a disposizione mi preparo moralmente a lunghi percorsi in solitaria.
Avevo pensato di esibirmi in una bella impresa (si fa per dire) la salita al monte Kanate e S.Cristina nello stesso giorno. Dopo un primo tentativo ho intuito che, di questo periodo, l’impresa mi era difficile, non tanto per le difficoltà tecniche o per durezza di percorso, ma, le temperature basse e le poche ore di luce a disposizione potevano mettermi davvero in gramaglie. La necessità di partire abbastanza coperto faceva si che, durante le salite dure, sudi parecchio, e le successive discese mi avrebbero raffreddato notevolmente. Fermarsi a riposare e mangiare per un po’ di tempo diventava davvero complicato. Perdendo tempo a mangiare e riposare, poi i tempi si sarebbero dilatati parecchio, e avrei rischiato di dover rientrare, stremato, a buio. Da considerare inoltre le velocità ridotte (sia in discesa che in salita) a causa delle zone di fango. Il fango poi, potrebbe bloccare le ruote della mia mtb. Le operazioni di pulitura richiederebbero tempo, energie, brutte parole ecc… Da mettere inoltre in preventivo le possibili rotture meccaniche dovute al fango. Meglio rimandare l’impresa a tarda primavera, con giornate più lunghe e clima più favorevole.
Deciso così di affrontare una montagna per volta, magari allungando un po’ la fase di rientro, qual’ora mi fosse rimasto tempo utile.  
Così, un giovedì mattina, dopo aver portato la moglie a lavorare, preparo lo zaino, vesto i panni del mtbiker, inforco la mia Scott Genius e parto in direzione di Pellegrino P.se.
Ho in mente un paio di itinerari di rientro, vedremo i tempi di salita e discesa dal monte più alto del circondario. Il S.Cristina con i suoi 963 m è la cima più elevata della zona e fornisce al mtbiker diversi itinerari di discesa. Per la salita è consigliabile, sempre la via “normale”. La “normale” consiste in una grande strada inghiaiata con diversi gradi di pendenza, ma, soprattutto un terreno abbastanza sconnesso, che riesce spesso a mettere in difficoltà gli escursionisti con la “gamba” meno potente. Per scendere penso di percorrere la “normale”. Una volta arrivato a Maneia vorrei girare verso la Val Ceno e rientrare verso Lusignani Alto percorrendo una larga inghiaiata. Poi Il sentiero dell’Emigrante, e il rientro a Pellegrino….poi Besozzola e Grotta…golf e Salsomaggiore.
Questo nei programmi.
Poi si vedrà!!
Con l’idea di percorrere il maggior numero di km possibile pedalo Via Milano in direzione p.so di S.Antonio.
Sapendo quel che mi aspetta, pedalo tranquillo per risparmiare utili energie.
A Contignaco sono duro come un merluzzo. Il fondo valle è all’ombra e il freddo si fa sentire.
La lunga salita dei Massari sono sicuro che mi riscalderà. Detto e fatto!
Si comincia all’ombra fra stupendi disegni che la brina ha tracciato su strada e vegetazione; salendo il sole sbuca da dietro la collina e regala riflessi e immagini davvero suggestive.
Le lunghe ombre e i colori caldi fanno assomigliare questa mattina tersa, ad un tramonto estivo.
Stranissimo.
Estraniando la testa dalla fatica riesco a salire la via senza morirci dentro. A Pietra Spaccata, per acquistare tempo, decido di salire al passo per strada. Allungo il percorso, ma diminuisco i tempi. Percorrere la Riservetta potrebbe richiedere troppo tempo e troppe energia. Percorro la strada della Costa andando incontro al sole che illumina la strada in modo davvero emozionante.
Sotto il santuario di Mariano giro a destra per la Borotalco. Scendendo da questa via arriverei dall’altra parte di Pellegrino e dovrei tornare indietro per risalire a Careno. C’è una Carraia che porta direttamente su, ma il terreno, attualmente, non consente la sua percorrenza. Giro allora a destra pedalando su un bel sentiero di costa proprio sopra l’abitato di Pellegrino.
L’occhio corre veloce sulle montagne circostanti che si stagliano elegantemente contro l’azzurro del cielo.

Fra prati al sole, e immersi nella brina, scendo presso il cimitero di Pellegrino.
Mi fermo a pulire la mia GOPRO ed inizio la risalita alla volta di Careno.
Che splendida giornata!
Dopo una sosta tattica davanti alla antica pieve, inizio la dura salita al S.Cristina.
La prima parte è sempre “cattiva”, e non mi vergogno se un paio di volte devo scendere a spingere (anche se per pochi metri). Poi le pendenze si acquietano e il terreno diventa più stabile.
La via si fa ben pedalabile din quasi sulla cima. L’ultimo chilometro diventa ancora problematico: La terra allentata è stata percorsa da trattori dei boscaioli che hanno creato profondi solchi pieni d’acqua e fango. A volte si va…altre volte conviene spingere. Ma ormai sono in vetta, poco male. Sotto l’eremo mi accoglie una simpatica chiazza di neve.
Ripulisco ancora l’obiettivo della mia camera, ed inizio la discesa. Questa volta, come da programma, scendo per la “normale”. La prima parte, in ripida discesa e ben esposta al sole, corre via veloce e divertente. Il fondo è ricoperto di foglie, bisogna prestare attenzione,  ma la bici procede svelta e sicura. Ora cominciano i problemi …
Le pendenze calano e il sentiero si va riempiendo di grandi buche piene d’acqua e fango. Urca!

Probabilmente il passaggio delle moto, di qualche trattore, ha scavato buche che sembrano piscine. Devo impegnarmi a fondo per non restare impantanato.

Di buca in buca di pantano in pantano, proseguo lungo il sentiero. Ora il sentiero riprendere a scendere deciso e riprendo velocità. Seguendo le tracce larghe di un trattore mi accorgo all’ultimo momento di aver sbagliato strada, cioè, sentiero. Accidenti dovevo girare a sinistra, invece di proseguire dritto. Sono già sceso troppo per girare indietro. Poi, se è passato un trattore passo anch’io. Resta solo da vedere dove vado a finire! Il sentiero è in discrete condizioni e continuo a scendere.
Il fondo è ricoperto di foglie che nascondono sassi smossi a volontà. Con cautela (ma non troppa) scendo per la larga carraia seguendo le profonde tracce del trattore. Il bosco è all’ombra e le ruote pestano foglie ghiacciate che scricchiolano e scoppiettano una volta pestate. D’improvviso il bosco si apre e capisco immediatamente capisco dove sono. I tetti la sotto parlano chiaro: sono a Lusignani alto! Bellissimo. Sono già giù ed è ancora presto. Mi sono divertito ed ho acquistato tempo.
Velocemente calcolo il tempo a disposizione e riparto. Anziché scendere dall’Emigrante….andrò fino a Castellaro, poi verso Iggio e prima del sentiero del pedale, giro a sinistra per scendere fino a Piandolo (speriamo bene!).
Il tratto asfaltato scorre veloce sotto le mie ruote grasse e sporche.
Ed eccomi buttarmi in discesa verso Piandolo.
La prima parte la percorro tra tratti ghiacciati e prati quasi asciutti.
  Anche qui il sentiero è “tracciato” da profondi solchi fangosi di trattori o fuori strada di cacciatori. Con il prato a disposizione va tutto bene, fino a quando devo girare a destra.
Il sentiero incassato fra i prati ed il monte è nettamente diviso in due. La parte a monte, baciata dal sole, è ben bagnata e fangosa. La parte a destra tenuta in ombra è completamente ghiacciata. Scelgo di scendere lungo il rivolo ghiacciato. Roba d’alto equilibrismo!.

Il sentiero ora spiana e anche qui appaiono grandi pozze fangose. Qualcuna la supero al volo pedalando veloce con le ruote che slittano, scivolano, il posteriore sbanda ma passo. Altre sono talmente grandi che non ho altra scelta che smontare alzare la bici e tentare di passare a piedi.
Nei pressi dei 3 grandi castagni il sentiero riprende le sue pendenze e la discesa ritorna ad essere divertente e veloce.
La bici mi porta velocemente fra le case di Piandolo.
Guardo l’orologio. Ho ancora tempo. Anziché di tornare da Stuzzano voglio salire a Rigollo e poi di qui al passo di Borla. Di qui penserò come rientrare a casa. L’ampia strada si fa pedalare volentieri. Prima su asfalto, poi su strada bianca salgo verso il passo. I colori e i panorami ripagano la fatica che ora si sta facendo sentire sulle gambe.
I muscoli sono bei pieni di acido lattico e penso di rientrare per asfalto. Ma intanto devo ancora salire. La strada bianca al sole riscalda corpo e spirito. Laggiù la pianura immersa nella nebbia e nelle polveri sottili. Qui al sole si sta che è un piacere.
L’ultima curva in salita mi riporta all’ombra e il gelo assale mani e viso. Ancora uno sforzo e sono al valico. Tiro il fiato un attimo, abbasso il reggisella e inizio velocemente a scendere. Anche qui tra sole e ombra le condizioni sono estremamente diversi….ma va bene così.
A Rosi la GOPRO mi abbandona (memoria piena). Poco male, la parte interessante del percorso è finita. Non mi resta che rientrare per la fondovalle. Attraverso un prato e sbuco direttamente a Borla.
Ora mi rilasso e tranquillamente pedalo verso casa. A Trinità telefono alla moglie(che è a lavorare!) e sempre allegro e spensierato mi dedico al rientro a casa. Penso a cosa mangiare (lo stomaco comincia a reclamare decisamente), le barrette e le marmellate ormai servono a poco.
Le due salitelle sotto Vigoleno, fanno bruciare le stanche gambe.
Poi il patatrac!. Scendendo verso il ponte sullo Stirone, prima di Case Passeri, in una curva all’ombra la Scott mi scivola da sotto il sedere e mi sdraio bel bello in mezzo alla strada. Veloce mi rialzo prima che arrivi qualche auto. Prima di ripartire faccio i conti dei danni. La bici ha qualche graffio sul deragliatore, ma niente di serio. Io, insomma….
Il guanto destro ha il mignolo stracciato e sotto il ditino brucia e fa male. Si muove ma malvolentieri. Al momento abbandono l’idea di togliere il guanto per guardare. Lo farò a casa. Noto anche che la mia GOPRO ha il vetro davanti all’obiettivo, decisamente sfregiato. Porco qui, porco li…
Così santiando guadagno la via di casa, dove arrivo poco tempo dopo.
La mia Scott è veramente sporca e abbisogna di una bella “doccia”.
Il mio dito, alla fine, ha solo l’unghia schiacciata, e qualche dolorino qua e la….tutto qui….
Alla fine , gran bella escursione….
E' possibile visualizzare il filmato dell'escursione a questo indirizzo:

Mte s cristina in inverno

domenica 22 dicembre 2013

Monte Inverno (di fine estate)



MONTE INVERNO…DI FINE ESTATE        
Settembre sta facendo le bizze. Solitamente mite e dal tempo stabile, è il mese ideale per scorrazzare su e giù per le colline dai colori pastello, dove il marrone della terra arata ben  si unisce ai gialli caldi e ai rossi ruggine delle foglie ormai stanche di stare appese ai rami. Le viti, spoglie dei pesanti grappoli, attendono la mano dell’uomo per affrontare il lungo inverno.  Quest’anno frequenti veloci perturbazioni atlantiche hanno ribaltato le caratteristiche specifiche di questo mese  caratterialmente tranquillo. Temporali estivi riempiono il cielo notturno di luci abbaglianti e veloci. Forti acquazzoni lavano le strade impolverate da mesi siccitosi e bollenti.
La terra arsa assorbe bene queste piogge violente . Poche ore di asciutto, magari con un po’ di vento, e i sentieri sono in grado di ospitare le nostre ruote grasse.
Così nella previsione di tempi fangosi, l’altro sabato l’allegra combriccola   quelli che… il sabato mattina” si è avventurata per quella che poteva essere l’ultima possibilità dell’anno di girare su Monte Inverno. Avevamo aperto la stagione primaverile con una escursione su Monte inverno, e su tale monte, simbolicamente chiudiamo la stagione estiva.
Avrei voluto scrivere prima…ma la ferale notizia della tragedia di Lorenzo ha bloccato testa e dita sulla tastiera. Non è facile scrivere di momenti felici sulla bici, dopo che un amico ha perso la vita sui medesimi sentieri.
La cosa ti prende stomaco e cervello e non si sa più cosa fare.
Poi ci si fa apposito esame di coscienza, e l’idea che comunque, la vita continua, e deve continuare, anche per onorare chi amava questo nostro sport (sono banalità …lo so, ma è così che funziona) mi accingo a descrivere nel modo migliore questo percorso che mi sembra degno di una bella gita (da farsi assolutamente con sentieri asciutti)  .
In verità non avevamo pianificato per bene l’escursione. C’era solo l’idea di arrivare su Monte Inverno senza prendere sentieri strani e affrontare santiando ripidi versanti a spinta (leggi Monte Inverno a primavera)
Privi del prode Maurizio (affaccendato in altre parti del mondo) , e con mezzi assai diversi da allora (neanche fosse passato un secolo…ma le bici sono cambiate…meno la mia)  sbicicliamo alla volta della  Marialonga. Abbiamo pensato a vie diverse per arrivare lassù, ma quasi tutti i nostri progetti a conti fatti si rivelavano malfatti. Quindi , solita via: Massari, riservetta, strada della costa, sentiero dietro il santuario di Mariano. Poco asfalto e si gira subito per l’inizio della Marialonga  (oppure Maria Longa…ma io preferisco di gran lunga la parola unica). Si va via veloci fin quasi a Pietra Corva. Qui iniziano le improvvisazioni e le varianti. Ognuno propone il suo  pezzo. Come una ensemble di jazzisti, ricamiamo attorno al pezzo portante tante piccole variazioni a tema e a tempo.
Ne nasce un divertente andirivieni di discese e salite su sentieri nel bosco più o meno fitto, più o meno basso.
E’ stato sufficiente spostarci di poco per essere immersi in un paesaggio e in situazioni completamente diverse dall’altra volta.
Dopo il bosco di bassi e duri arbusti usciamo in una carraia su una cresta che fiancheggia una cresta di arenaria che si erge come cresta di stegosauro in mezzo alla vegetazione. Non si può fare a meno di fermarsi a rimirare.
Passando a fianco di una fattoria imbocchiamo una carraia che ci riporta  sulla retta via . Una rapida sequenza di ripidi strappi ci riporta in quota e sulla diretta per Monte Inverno.
La compagnia viaggia allegra e spedita come da tempo non succedeva, non grandi velocità ma si viaggia senza soste di rilievo. La giornata è a dir poco stupenda, la temperatura ideale, e i colori che abbiamo davanti sono semplicemente “belli”.
Tutto favorisce una grande serenità d’animo. Le tossine e le rabbie accumulate nella settimana le abbiamo già “purgate” salendo dai Massari, alla riservetta eravamo già purificati (anche se un paio di pozze fangose ci avevano sporcato i garretti).
Ormai sappiamo dove imboccare il sentiero maestro per la vetta del monte.
Dopo la lunga strada bianca di piacevole pendenza, una secca svolta a sinistra ci immette sulla salita per Monte Inverno.
Qualsiasi dubbio lo ha fugato un motociclista che è transitato appena prima di noi.
In un bosco bellissimo saliamo velocemente. Dapprima dolce, il sentiero qua e la ci spara ripide salite,
non lunghe ma veramente erte. 
Non voglio aprirmi in due, e, per qualche metro, spingo la bici.
Quando sopra di me scorgo l’azzurro del cielo che annuncia la cresta sommitale, metto sui pedali tutte le energie e arrivo pedalando in vetta.  
Per adesso tutto procede a meraviglia. Intanto che si respira ne approfittiamo per reintegrare le energie disperse.
Poi la discesa ci vede viaggiare veloci e sicuri. Il sentiero, molto più pulito di questa primavera, è scorrevole e senza difficoltà
. Le curve paraboliche sembrano disegnate sui fianchi del sentiero. 
In un attimo siamo fuori del bosco. Non perdiamo tempo prezioso, e lasciamo correre verso valle le nostre possenti ruote.
Dapprima su strada bianca poi appena dopo quel fienile a destra per prato fin giù sulla strada che da Varano va verso Case Boscaini.
Tutto sommato una gran bella discesa. Ora per carraie campestri saliamo lentamente (io) verso Case Mezzadri.  Altra variante. Invece di seguire la carraia canonica sulla sinistra proviamo quella pestata da trattori che tira su diritta e ripida. Sbuffando sulla terra bianca, appena appena colorata dal sole settembrino, arrivo su , dove gli altri chiacchierando mi spettano.
La collina scende verso la pianura con un susseguirsi di vallette che menano rigagnoli d’acqua più o meno importanti verso il grande fiume. Noi stiamo attraversando queste vallette in modo ortogonale, per cui ad ogni salita corrisponde una discesa in un lungo mangia e bevi estremamente allenante.
Scendiamo quindi attraverso esili tracce attraverso i prati in direzione del fondovalle e di qui per asfalto verso Banzola. All’altezza del cimitero una strada bianca che si inerpica attrae l’attenzione: dove porta?
Come rapaci volteggiamo attorno alla preda…
Un rapido calcolo…secondo me questa mena su verso la cresta di Monte Manulo.
Andiamo a vedere.
Mentre Luca e Paolo si involano sulla salita, io mi attardo a litigare con  la GOPRO.
Alla fine devo fermarmi a cambiare la batteria ormai scarica.
Arrivo anch’io alla fine della salita, giusto in tempo per verificare che avevo visto giusto e che adesso ci sono un altro paio di strappi cattivi.
Una coppia di trekker alla fine della salita ci permette di tirare il fiato coinvolgendoci in chiacchiere ed informazioni. Ci lasciamo coinvolgere volentieri.

I miei soci non hanno mai fatto il “feroce”. Ne approfitto per fargli provare l’emozione.
Dopo la bella cresta sotto un tiepido ci infiliamo nel tunnel ombreggiato del “sentiero Feroce” .


Il fondo polveroso fatica a trattenere i tasselli delle ruote e occorre bilanciare bene il peso.
Alla fine tutti e tre scendiamo alla fine della ripido tracciato e constatiamo con piacere che i tronchi che ostacolavano l’uscita sono stati tolti. Meno male.
Ora, risalire su fino a Monte Manulo ci sembra un inutile speco di energie. Mi ricordo che appena di la dal campo appena zappato si apre un largo sentiero che porta ad attraversare il Gisolo sotto Tabiano Castello.
La truppa si butta in picchiata e attraversiamo.
Dall’altro versante il prato sembra tagliato e pettinato per noi.
Una bella e ampia traccia ci guida dritta fin sulla strada bianca che guarda da dietro lo stupendo maniero di Tabiano.
Siamo quasi arrivati.
Una scorribanda nel parco fra il Castello e le Terme,
ricalcando le tracce della recente escursione Terme e Castelli,
  e poi si risale verso Salsomaggiore . L’ultimo sforzo della giornata ci vede risalire lungo il  “sentiero degli alpini”. Rientriamo  a Salso con l’ultima variante della giornata. Al poggetto ci infiliamo per via traversa  e costeggiando ville e attraversando prati  sbuchiamo sulla Tamburina. Ancora un taglio e una scala e sono a casa. Saluto gli amici e famelico mi appropinquo al desco.                                                                                                                                                                     Come sempre allego qua sotto il link per visionare l'intero percorso attraverso le immagini del filmato che ho realizzato in quella occasione:
monte inverno di fine estate 

sabato 21 dicembre 2013

monte Inverno (in primavera)

Oggi è il primo giorno di inverno...già...
Nonostante il tempo non sia un granchè per chi come noi ama uscire in mtb (ma è normale che di questi giorni ci possa essere brutto tempo...) siamo attrezzati in modo adeguato e usciamo comunque a "cinghialare" come nostra ormai consolidata abitudine.
Il primo giorno di Inverno mi fa venire in mente un altro inverno...il monte Inverno!
Questo cocuzzolo sopra l'abitato di Varano Marchesi rappresenta una bella meta per i mtbikers delle nostre zone. Anche noi ci siamo cimentati in escursioni che vedono come punto centrale della uscita il famoso monte Inverno.
L'anno scorso abbiamo percorso quei sentieri in prima primavera (approfittando di un momento di bellissima stagione) e poi siamo tornati sul finire dell'estate prima dell'arrivo della brutta stagione.
Quest'anno siamo tornati sulle nostyre pedalate con gli amici Giulio e Andrea. Il passo è stato più tranquillo ma l'escursione è stata cmq molto divertente. Ogni volta portiamo al percorso qualche variante interessante, ma il cuore della escursione rimane sempre il Monte Inverno.
Propongo qui di seguito la descrizione della nostra  prima escursione (primavera), quella del 2012 .

MONTE INVERNO DI PRIMAVERA
A’m sum desdeè stamatenna, l’è primavera … ma piov…
…l’è primavera in tal lunari ma par ch’l’inveren a’l sia tornè… (F.Guccini : al Trist)
“Aprile ogni dì un barile” mi diceva la mia bisnonna citando un proverbio…
Fatto sta che qui il tempo è veramente proibitivo. L’acqua necessaria all’agricoltura come non mai, va però rendendo inutilizzabili gran parte dei nostri percorsi collinari. Fortunatamente abbiamo parecchie strade bianche che consentono al biker paziente di allenarsi e mantenere la gamba.
Anche la temperatura si è bruscamente ridotta. A fine marzo si girava già in tenuta estiva … ieri mattina si stava bene coperti.
Ed è a causa di questo ambientino simpatico maturato già nella settimana di Pasqua (non mi ricordo una Settimana Santa senza acqua a catinelle) che mi viene voglia di raccontarvi del tour di Monte Inverno.
Il nome del monte è tutto un programma e ben si coniuga col tempo da lupi di questi giorni (perché poi da lupi? Cosa c’entrano questi simpatici canidi col tempaccio?).
In realtà quando “quelli che..il sabato mattina” hanno affrontato il percorso era una giornata stupenda, tiepida al punto giusto e il fondo era ideale.
Mi telefona il giovedì sera il buon Gianluca chiacchierando di questo e di quello, e così fra una parola e l’altra salta fuori il Monte Inverno. Il posto non mi è nuovo, mi ero avventurato per quei siti diversi anni fa, perdendomi clamorosamente fra rovi e salite esclusivamente da “spingere”. Poi sbucaii in un ampio slargo incontrandomi per puro caso con una combriccola di amici (fortissimi bikers) che mi hanno ricondotto per la retta via, anch’essa però nascosta fra il folto bosco. Non ero rimasto entusiasta del giro, ma mi rimase la curiosità. Fui contentissimo di sapere che Luca aveva avuto le dritte per salire e scendere in modo corretto da quel monte dal nome così cupo.
E così partimmo … dal centro di Salsomaggiore. Dentro di me facevo i conti e mi preoccupavo per la lunghezza del giro e per il dislivello che avremmo accumulato. Per evitare problemi mi ero munito di apposite confezioni di gel (che mia moglie chiama simpaticamente “bombe”) di carboidrati e frutta e riempito per bene il camel back che ho sempre con me nello zainetto insieme all’officina portatile, alle camere d’aria di ricambio e all’insostituibile ferro di cavallo nascosto per bene in una delle tasche interne.
Che il giro fosse battezzato “duro” lo dimostrava il fatto che Paolo, avezzo a frequenti scatti stava assai “manciato” e se la chiacchierava tranquillo con Luca. Maurizio ed io, dietro, contenti del ritmo blando discutevamo della crisi, del lavoro annessi e connessi.
Speravo di andare subito verso Monte Inverno, ma non vedevo bene il percorso.
I miei soci puntavano invece verso il Monte Kanate. Ciumbia, la prendiamo lunga. Fa niente, scaldiamo le gambe con la lunga salita ai “massari”. Sempre dura mi fu…
Come scalda gamba non c’è male.
Poi, a Pietraspaccata imbocchiamo il simpatico sentiero della “riservetta”.
Il sentiero è divertente e tecnico con passaggi discretamente impegnativi che ci porta, in breve, sulla strada della Costa. Ci avviamo verso Mariano. Un po’ di asfalto scioglie le gambe. Aggiriamo il santuario seguendo un’ampia carraia che propone una divertente serie di saliscendi scorrevoli e veloci.
Il fiato è “rotto” e l’andatura aumenta. Fin qui tutto bene. Conosco bene il tracciato ed ho capito dove andremo a parare.
Dopo una breve sosta per dare indicazioni ad un gruppo di colleghi bikers, appena sopra Case Boscaini, ci imbarchiamo per una veloce discesa su asfalto verso Monte Salso. Poi deviamo bruscamente sulla Marialonga. Anche questa parte la conosco bene.

Il tracciato e il meteo, entrambi ideali, permettono a noi bikers di godere al massimo la pedalata. Lo sguardo corre rapido sulla sottostante Valceno. La strada bianca avanti a noi, sinuosa come un serpente, corre veloce verso i ruderi del castello di Roccalanzona.
Poco avanti a noi lo scuro profilo di Pietra Corva .
Non arriviamo al nero ofiolite, giriamo prima.
Di qui in poi, per me è tutto nuovo, o quasi.
Scendiamo lungo un sentiero largo ma estremamente rovinato.
La notevole pendenza fa si che, in presenza di forti piogge, l’acqua trascini con se, verso valle, notevoli quantità di sassi, e si scavino ampi solchi. Moto e quad fanno il resto.
Guardinghi scendiamo, cercando di non cadere. Una caduta sarebbe veramente devastante, visto che non abbiamo portato protezioni per braccia e gambe.

D’improvviso la pendenza cala e il sentiero diventa più tranquillo. Lasciamo correre i nostri mezzi prima che la strada ricominci a salire . Davanti a noi si profila un piccolo agglomerato di case con una chiesetta simpatica e accattivante. Nel verde brillante, fra gli alberi coi primi fiori, la chiesetta ci porta ad immagini di siti ben più famosi. Rallentiamo mentre ci avviciniamo fra l’abbaiare di cagnetti curiosi e diffidenti. Approfittiamo della gentilezza di un passante per chiedere informazioni sul nostro Monte Inverno.
Approfitto di questa sosta per rifiatare.
Mi volto indietro e butto un occhio sulla discesa appena terminata. Niente male! Anche il Mauri è soddisfatto e divertito.
Ora si ricomincia a soffrire. La strada bianca ricomincia a salire tranquilla poi d’improvviso si impenna.
Si fatica, ed è forse per questo che commettiamo un errore.
Non diamo importanza ad una carraia, sulla nostra sinistra, “fettucciata” come ad indicare la strada per noi.
Ma davanti ci si apre una strada boschiva ampia e rassicurante e tralasciamo la via “fettucciata” .
Errore! Il sentiero diventa durissimo
e poi si infrasca sempre più, fino a diventare una tracciola esile nel bosco, tipica delle tracce da cinghiali o fungaioli. Non ci fidiamo a seguirle. Un rapido consulto fra bikers dispersi: “non si torna indietro!” . Un rapido sguardo ci conferma che siamo quasi in vetta al Monte Inverno.
Risaliamo la breve china che abbiamo davanti, cercando di schivare i rami di rovo, puntando all’azzurro cielo che abbiamo davanti e che filtra fra i faggi. Pochi minuti e siamo in vetta.

In vetta ci troviamo su uno stupendo sentiero “fettucciato” … era quello di prima, quello che abbiamo volutamente trascurato. Dopo esserci stramaledetti ridendo di gusto approfittiamo della sosta forzata per mandare giù qualcosa. Ce n’è bisogno. Partiamo di nuovo all’avventura.
Ora il sentiero scende ripido e divertente in una lunga serie di curve, ancora “sporche” di foglie ma estremamente piacevoli. Bello bellissimo.
D’improvviso sbuchiamo dal bosco e ci troviamo su una ampia strada bianca. Dove siamo?
Discutiamo agguerriti. Alla fine capiamo di essere poco sopra S.Lucia, tra Varano Marchesi e S.Andrea. Adesso dove andiamo? Dopo un conciliabolo divertente ci viene in soccorso un contadino della zona.
In effetti ci indica la via segnalata dalle fettucce. Lasciamo correre le nostre bici in una discesa su strada bianca. Arriviamo nei pressi di una grossa fattoria… e commettiamo un nuovo errore.
Non ci sono fettucce e seguiamo la carraia che scende ampia dopo la fattoria. E ci troviamo con lo sguardo perso fra i campi alla ricerca di un passaggio. Niente da fare. Non ci resta che tornare indietro. All’altezza della fattoria butto un occhio al mio navigatore e vedo che c’è un sentiero segnalato. Senza indugi seguo le indicazioni del navigatore seguito a ruota da Paolo e dagli altri.
Poco dopo ritrovo le fettucce…
Mannaggia, perché le hanno tolte nei pressi della fattoria? Non davano fastidio!
Ma è così. La discesa prosegue allegra e veloce
fin sulla strada asfaltata. Ora mi ritrovo! Era il punto da dove ero partito per il Monte Inverno anni fa. Ho capito perché avevo sbagliato.
Pazienza.
Indico ai miei soci come rientrare a Salso senza risalire fino alla Marialonga.
Pochi metri d’asfalto e imbocchiamo una ripida carraia che mena fino sulla costa sopra Case Mezzadri.
Paolo e Luca si avviano rapidi, Maurizio ed io perdiamo terreno.
Poi la mia GOPRO esaurisce la batteria e devo fermarsi per la necessaria sostituzione. Ne approfitto per rifiatare. Riparto e acchiappo Maurizio alla fine della dura salita, e, mentre Paolo ci viene incontro, un ampio giro nel bosco ci permette di addolcire lo sforzo.
Un’ultima rampa ci porta su una strada bianca. Siamo appena sopra Case Mezzadri. Bene!
Scendiamo veloci e allegri. L’osteria di Case Mezzadri mina le nostre velleità pedalatorie. Un profumo di ottima cucina ci attanaglia lo stomaco, mentre penso ai gel tecnici appena ingurgitati. Sta per uscirmi un corretto “ma vaffa…” quando i soci scattano in discesa. Pochi metri più in la, nei pressi dell’altra osteria, giriamo per un invitante stradello.
Qui, ricordi vaghi di Luca, la possibile presenza di cani ci fanno fermare a chiedere lumi ad un contadino.
Ci consiglia male. La via che seguiamo ci porta a lasciare il sentiero noto
… e finiamo a scavalcare un paio di fossi e saltare rovi.
All’ultimo passaggio, proprio in uscita la mia bici diventa inguidabile: ho chiaramente bucato.
Aiutato dai miei amici, sostituisco la camera d’aria, e in breve ripartiamo. Ora la strada è chiara.
Saliamo verso i Tintori per ampia strada bianca. Una torma di cagnetti abbaianti (ma innocui) accompagna il nostro sforzo. Comincio ad essere stanco, ma siamo quasi a casa. Invece di girare direttamente verso Tintori saliamo verso Pietraspaccata e case Massari.
Mauri (ed anche io) mugugna asserendo di avere finito la benzina. Ho capito dove vogliono andare i nostri soci. Tranquillizzo il Mauri. Infatti poco dopo infiliamo un sentiero su terra che scende velocemente.
Una zona di terreno bagnato e “arato” dai cinghiali ci rallenta e preoccupa. Poco dopo però imbocchiamo un bel sentiero che ci consente di scendere divertendoci. Poi “emergiamo” su strada bianca e velocemente arriviamo a Contignaco. Di qui a casa è una passeggiata, anche se Paolo e Luca si sfidano in volata su una salitella. Io non ne ho più e non vedo l’ora della doccia e della pasta asciutta che mi ha preparato la dolce moglie . Bel giro, duro, ma veramente bello.
45km e 1500m di dislivello … mica poco!

E' possibile vedere il filmato di quella escursione al seguente link:
monte Inverno (primavera)