Una tranquilla pedalata che ci porterà a viaggiare
sugli argini di Tre Fiumi: il Po, il Taro e il torrente Parma. Il percorso, interamente pianeggiante, si
snoda interamente su piste ciclabili in sede propria e strade a bassa velocità
e percorrenza. Si potranno respirare atmosfere tra loro contrastanti e nello
stesso tempo stranamente interconnesse. Dallo sfarzo del Palazzo Ducale di
Colorno alla scarna essenzialità del mondo rivierasco del Po, dove il fiume
forgia l’uomo, lo attrae e lo lega a se per sempre. Le terre di Don Camillo e
Peppone faranno riaffiorare i racconti di Guareschi, edulcorati e resi famosi
nei films con Cervi e Fernandel. Un tranquillo traversante ci porterà
sull’argine del torrente Parma . Questo scorbutico corso d’acqua, famoso per le
sue piene velocissime ed impetuose, ci accompagnerà verso la città di Maria
Luigia in un curioso mix di antico e moderno. Da un lato pioppeti e colture,
dall’altro capannoni industriali e automobili. In mezzo noi, col desiderio di
ritrovare antiche sensazioni. Il viaggio termina alla stazione FFSS di Parma .
Potremo rientrare a Colorno via Treno oppure (per chi ha la mtb) percorrendo
interamente l’argine del torrente Parma come descritto nell’itinerario Parma-
Colorno in mtb.
Questo tracciato è percorribile tutto l’anno.
Come base di partenza, in quel di Colorno, abbiamo stabilito la grande piazza antistante l’ingresso del Palazzo Ducale .
“ Già residenza estiva di Francesco Farnese, poi dimora prediletta di Don Filippo di Borbone e della moglieLouise Elisabeth,
figlia di Luigi XV di Francia, che la rinnova e l'arreda sul nobile modello di Versailles,
e ancora abitata da Maria Luigia d'Austriafino alla metà dell"Ottocento,
è stata inaugurata come attrezzata sede di esposizioni di prestigio
internazionale nel 1995, con la mostra dedicata al collezionismo farnesiano.
Un complesso e lungo progetto di
restauro, dovuto alle cure dell'Amministrazione provinciale di Parma e del
Ministero dei Beni Culturali tramite le Soprintendenze competenti, ha salvato
lo stabile da uno sta to di assoluta fatiscenza, ne ha adeguato gli standard di
sede espositiva, ma sopratutto ha consentito di riscoprirne il fascino di
regale dimora settecentesca, incastonata come una pietra preziosa nella pianura
padana. E oggi è completata dal recupero di recente concluso del parterre
all'italiana, che ne costituisce la fresca cornice fiorita.
Proprietaria
della Reggia di Colorno, la Provincia ha avvertito tutta la responsabilità di
tramandare una storia secolare, la cui importanza ancora oggi si percepisce
nella bellezza della sua architettura e di quanto è in essa contenuto.
Al programma dei restauri - che continuano da tempo sulla grande mole della Reggia, grazie all’impegno costante della Provincia e al concorso di altri soggetti, quali la Regione Emilia Romagna e il Ministero per i Beni e le Attività culturali - è stato affiancato un progetto d’uso, che ha restituito una funzione pubblica all’intero complesso.
Al programma dei restauri - che continuano da tempo sulla grande mole della Reggia, grazie all’impegno costante della Provincia e al concorso di altri soggetti, quali la Regione Emilia Romagna e il Ministero per i Beni e le Attività culturali - è stato affiancato un progetto d’uso, che ha restituito una funzione pubblica all’intero complesso.
Un regolamento
ha fissato le condizioni per l’utilizzo temporaneo - da parte di chiunque ne
faccia richiesta - degli spazi agibili della Reggia Palazzo.
E’ invece stabile la presenza della biblioteca comunale di Colorno e delle associazioni CIDIEP e GisForm, impegnate in attività scientifiche e formative.
Centro di eccellenza nella vita culturale parmense, la Reggia di Colorno ospita mostre e iniziative musicali nella cappella ducale di San Liborio, ricchissima di arredi di squisita fattura settecentesca.
E’ invece stabile la presenza della biblioteca comunale di Colorno e delle associazioni CIDIEP e GisForm, impegnate in attività scientifiche e formative.
Centro di eccellenza nella vita culturale parmense, la Reggia di Colorno ospita mostre e iniziative musicali nella cappella ducale di San Liborio, ricchissima di arredi di squisita fattura settecentesca.
E’ stato recentemente riaperto al pubblico il giardino
storico della Reggia, appena restaurato. Ogni anno, a primavera, viene
allestita la Mostra dei Fiori "Nel Segno del Giglio", importante esposizione florovivaistica a livello
nazionale, che registra la presenza dei più prestigiosi operatori del settore”.
Passiamo l’antico ponte sul torrente Parma (ed ecco
che abbiamo subito a che fare con l’acqua) in direzione nord e subito dopo
giriamo a sinistra per via Du Tillot. Alla fine della via, al semaforo andiamo
dritti per via Filippina. Pochi metri e, seguendo le indicazione
cicloturistiche (Parma – Po), giriamo a sinistra per strada Pelosa.
Siamo appena partiri e siamo già in aperta campagna. Già il traffico e la confusione sono lontani dal nostro tranquillo pedalare. Può passare qualche auto, qualche trattore, ma il tutto assume altre valenze altre velocità. Siamo ancora “freddi” quando si presenta la prima asperità di questo percorso interamente pianeggiante: il cavalcavia sulla nuova tangenziale. Guardiamo dall’alto in basso auto e TIR che sfrecciano veloci e continuiamo ad osservare la campagna popolata da fagiani e lepri e lungo i fossi grasse nutrie mangiano incuranti del nostro passare. In località Sanguigna, al bivio giriamo a sinistra. Poco più avanti sempre sulla nostra sinistra potremo osservare la famosa Grancia Benedettina di Sanguigna, ora azienda agrituristica.
Siamo appena partiri e siamo già in aperta campagna. Già il traffico e la confusione sono lontani dal nostro tranquillo pedalare. Può passare qualche auto, qualche trattore, ma il tutto assume altre valenze altre velocità. Siamo ancora “freddi” quando si presenta la prima asperità di questo percorso interamente pianeggiante: il cavalcavia sulla nuova tangenziale. Guardiamo dall’alto in basso auto e TIR che sfrecciano veloci e continuiamo ad osservare la campagna popolata da fagiani e lepri e lungo i fossi grasse nutrie mangiano incuranti del nostro passare. In località Sanguigna, al bivio giriamo a sinistra. Poco più avanti sempre sulla nostra sinistra potremo osservare la famosa Grancia Benedettina di Sanguigna, ora azienda agrituristica.
“Quella che oggi è una moderna azienda
agricola, fu per molti secoli una grancia benedettina.
Quando attorno al 1000 una delegazione di monaci del monastero di Parma arrivò qui, questa terra fatta di foresta e acquitrini, periodicamente inondata dal Po, era luogo ideale per allevarci suini e ovini allo stato brado, ricavare legname, argilla e pesce, e aprirsi un approdo sul fiume. Nel 1143 Papa Lucio II in una pergamena, elencando i beni del Monastero, parla già di Ecclesiam sancti salvatoris de sanguineo cum castro et curte. Dunque i monaci vi fondarono subito una chiesa, ancora oggi consacrata e decorata con affreschi quattrocenteschi, e realizzarono fortificazioni di cui rimangono alcune tracce.
La grancia cominciò così a stagliarsi al centro di una corte di terreni progressivamente bonificati, come mostra una mappa cinquecentesca in cui il complesso risulta già quasi perfettamente corrispondente alla struttura odierna. E’ all’interno di queste strutture agricole, un tempo sparse su tutto il territorio parmense e rette dai monaci, che furono messe a punto le ricette dei nostri prodotti tipici con particolare riferimento al formaggio Parmigiano-Reggiano. Con Napoleone prima e con l’unità d’Italia poi, i monaci hanno lasciato il posto a proprietari privati fino ad arrivare, negli anni ’60, alla famiglia Tiberti.”
Quando attorno al 1000 una delegazione di monaci del monastero di Parma arrivò qui, questa terra fatta di foresta e acquitrini, periodicamente inondata dal Po, era luogo ideale per allevarci suini e ovini allo stato brado, ricavare legname, argilla e pesce, e aprirsi un approdo sul fiume. Nel 1143 Papa Lucio II in una pergamena, elencando i beni del Monastero, parla già di Ecclesiam sancti salvatoris de sanguineo cum castro et curte. Dunque i monaci vi fondarono subito una chiesa, ancora oggi consacrata e decorata con affreschi quattrocenteschi, e realizzarono fortificazioni di cui rimangono alcune tracce.
La grancia cominciò così a stagliarsi al centro di una corte di terreni progressivamente bonificati, come mostra una mappa cinquecentesca in cui il complesso risulta già quasi perfettamente corrispondente alla struttura odierna. E’ all’interno di queste strutture agricole, un tempo sparse su tutto il territorio parmense e rette dai monaci, che furono messe a punto le ricette dei nostri prodotti tipici con particolare riferimento al formaggio Parmigiano-Reggiano. Con Napoleone prima e con l’unità d’Italia poi, i monaci hanno lasciato il posto a proprietari privati fino ad arrivare, negli anni ’60, alla famiglia Tiberti.”
Abbandoniamo la strada
asfaltata ed affrontiamo la seconda asperità della giornata: la salita
sull’argine del Po. Non sembra ma è ripida!
L’argine non
è asfaltato ma il fondo è comunque assai agevole e ben pedalabile da qualsiasi
tipo di bicicletta per cicloturismo. Siamo sulle rive del Po. Il grande fiume
scorre tranquillo e sornione un po’ più in là dopo i boschi a pioppo del
golenale.
“Il Po è un fiume dell'Italia settentrionale. La sua lunghezza,
652 km[1], lo rende il più lungo fiume interamente compreso nel territorio italiano[2], quello con il bacino più
esteso (circa 71.000 km²) e anche quello con la massima portata alla foce,
sia essa minima (assoluta 270 m³/s), media (1.540 m³/s) o massima
(13.000 m³/s).
Ha origine in Piemonte, bagna quattro capoluoghi di provincia (nell’ordine Torino, Piacenza, Cremona e Ferrara) e segna per lunghi tratti
il confine tra Lombardia ed Emilia-Romagna, nonché tra quest’ultima e il Veneto, prima di sfociare nel mare Adriatico in un vasto delta con 6 rami. Per la maggior
parte del suo percorso il Po scorre in territorio pianeggiante, che da esso
prende il nome (pianura o valle padana).
In ragione della sua posizione geografica, della sua lunghezza,
del suo bacino e degli eventi storici, sociali ed economici che intorno ad esso
hanno avuto luogo dall'antichità fino ai giorni nostri, il Po è riconosciuto
come il più importante corso fluviale italiano.
Il fiume Po era geograficamente
conosciuto già ai tempi della Grecia antica col nome
di Ἠριδανός Eridanós (da
cui il latino Eridanus e
l'italianoletterario Eridano); in origine indicava un fiume
mitico che sfociava nell'Oceano, ma solo in seguito venne identificato con il
Po. Le prime fonti furono citate dallo storico Polibio nel II secolo a.C., dove Eridanós era figlio di Fetonte, nella mitologia
greca, caduto nel fiume durante una gara di
bighe o carri, tanto da attribuirgli anche la porta dell'Ade, cioè
gli inferi, secondo la mitologia
greca. Sempre secondo altre leggende greche, Eridano fu il
figlio del titano Oceano e Teti.
Tuttavia, questo nome ha radici ancor più antiche poiché, sia in accadico che in sumerico, Eridu voleva dire luogo o città di comando presso un fiume, ad esempio una omonima antichissima città mesopotamica, risalente addirittura al XX secolo a.C.. Parimenti, altre fonti storiche narrano che vi fu una piccola Eridu anche nei pressi del Delta del Po, sul Mare Adriatico[4]; d'altra parte, il nome Eridanós contiene l'antichissima radice semitica (*rdn), che è comune ad altri nomi di fiumi quali, ad esempio, Rodano, Reno, Danubio, Giordano; anche in Grecia infatti, esiste un fiume Eridanos omonimo, quello che bagna la necropoli di Ceramico, vicino ad Atene. Le radici rd e rdn, in tutte le Lingue semitiche indicavano sempre una città, località o regione presso fiume.
Tuttavia, questo nome ha radici ancor più antiche poiché, sia in accadico che in sumerico, Eridu voleva dire luogo o città di comando presso un fiume, ad esempio una omonima antichissima città mesopotamica, risalente addirittura al XX secolo a.C.. Parimenti, altre fonti storiche narrano che vi fu una piccola Eridu anche nei pressi del Delta del Po, sul Mare Adriatico[4]; d'altra parte, il nome Eridanós contiene l'antichissima radice semitica (*rdn), che è comune ad altri nomi di fiumi quali, ad esempio, Rodano, Reno, Danubio, Giordano; anche in Grecia infatti, esiste un fiume Eridanos omonimo, quello che bagna la necropoli di Ceramico, vicino ad Atene. Le radici rd e rdn, in tutte le Lingue semitiche indicavano sempre una città, località o regione presso fiume.
Presso i celto-liguri, il vecchio Po
fu invece chiamato Bodinkòs o Bodenkùs, da una radice indoeuropea (*bhedh-/*bhodh-) che indica "scavare", "profondo", la
stessa da cui derivano i termini italiani "fossa" e
"fossato", indicando così tutta la depressione geografica della zona
fluviale padana.[5] Quindi,
l'antico nome latino Padus - da cui l'aggettivo padano - deriverebbe, secondo
l'opinione più diffusa, dalla stessa radice di bodinkòs; secondo altri però, deriverebbe da un'altra
parola celto-ligure, pades, indicante una resina prodotta da una qualità di pini
selvatici particolarmente abbondante presso le sue sorgenti.
Il nome italiano attuale
di Po deriva quindi,
dalla contrazione del latino Padus > Pàus > Pàu > Pò.
In diverse lingue slave (ceco, slovacco, polacco, sloveno, serbo, croato) ma anche nelle lingue romanze, quali il romeno, spesso si usa ancora chiamare questo fiume Pad o Padus.
Parimenti, negli aggettivi di lingua italiana, che solitamente ereditano la vecchia radice latina, esistono ancor oggi le parole paduano, padano, pianura padana, fino a Padania, cui utilizzo si è maggiormente diffuso a partire dagli anni novanta col movimento politico della Lega Nord.
In diverse lingue slave (ceco, slovacco, polacco, sloveno, serbo, croato) ma anche nelle lingue romanze, quali il romeno, spesso si usa ancora chiamare questo fiume Pad o Padus.
Parimenti, negli aggettivi di lingua italiana, che solitamente ereditano la vecchia radice latina, esistono ancor oggi le parole paduano, padano, pianura padana, fino a Padania, cui utilizzo si è maggiormente diffuso a partire dagli anni novanta col movimento politico della Lega Nord.
Il Po attraversa con il suo corso
gran parte dell'Italia settentrionale, da ovest verso est percorrendo
tutta la Pianura Padana.
Sulle sue rive abitano circa 16
milioni di persone e sono concentrate oltre un terzo delle industrie e
della produzione agricola italiana, così come oltre la metà
del patrimonio zootecnico. Ciò rende il Po e il suo bacino una zona
nevralgica per l'intera economia italiana
ed una delle aree europee con la più alta concentrazione di popolazione,
industrie e attività commerciali.
La sua sorgente si trova in Piemonte in provincia di Cuneo sulle Alpi Cozie e precisamente in Località Pian del Re (comune di Crissolo)
ai piedi delMonviso (3.841 m), sotto un grosso masso riportante la targa che ne
indica l'origine. Arricchendosi notevolmente dell'apporto di altre innumerevoli
sorgenti (non è errato affermare che "il Monviso stesso è la sorgente del
Po"), prende a scorrere impetuoso nell'omonima valle.
Da qui sbocca in pianura dopo appena una ventina di km lambendo i
territori della città di Saluzzo. In questo tratto vari
affluenti arricchiscono la portata del fiume che entra in breve nella provincia di Torino attraversandone lo stesso capoluogo. A Torino il fiume, nonostante abbia percorso solo un centinaio di km dalle
sorgenti, è già un corso d'acqua notevole con un letto ampio 200 m e una
portata media già prossima ai 100 m³/s.
Con andamento verso est, costeggia poi le estreme propaggini del Monferrato giungendo nella piana Vercellese dove si arricchisce dell'apporto
di importanti affluenti come la Dora Baltea e la Sesia. Piegando con corso verso
sud, continua poi a lambire in sponda destra il Monferrato in provincia di
Alessandria, bagnando le città di Casale Monferrato e Valenza (Italia). Qui funge anche da confine regionale tra Piemonte e Lombardia cominciando ad assumere
dimensioni maestose.
Presso Bassignana,
il fiume punta definitivamente verso est per merito anche della forte spinta
del Tanaro, suo principale tributario
di destra. Dopo questa confluenza il Po, ormai possente nella portata (oltre
500 m³/s), entra in territorio lombardo scorrendo in provincia di Pavia. Pochi km a sud del
capoluogo pavese il fiume riceve il contributo essenziale del Ticino, suo principale tributario per volume d'acque, diventando così
navigabile (grazie alla sua portata ora di oltre 900 m³/s) anche da grosse
imbarcazioni sino alla foce.
Dopo questa confluenza il fiume prende a scorrere per parecchi km
nella zona di confine tra Lombardia e Emilia-Romagna, bagnando città importanti come Piacenza e Cremona, scorrendo all'interno
della provincia di Mantova, ricevendo contributi
notevoli dagli affluenti alpini Adda, Oglio e Mincio e moltissimi altri fiumi minori provenienti dall'Appennino che ne
accrescono la portata ad oltre 1.500 m³/s.
Giunto infine nella zona di Ferrara il fiume scorre "pensile" sul confine tra Veneto (provincia di Rovigo) ed Emilia-Romagna, nella regione storica delPolesine.
Qui il fiume inizia il suo ampio delta (380 km²), dividendosi
in 5 rami principali (Po di Maestra, Po
della Pila, Po delle Tolle, Po
di Gnocca e Po di Goro) e 14 bocche; un ulteriore
ramo secondario (il Po di Volano) che attraversa la città di Ferrara, è ora inattivo. Il grande
fiume sfocia quindi nel Mare Adriatico, attraversando territori appartenenti ai Comuni di Ariano nel Polesine, Goro, Porto Tolle, Taglio di Po e Porto Viro.
Il delta del Po, per la sua grande valenza ambientale, è stato dichiarato patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel suo corso in pianura il Po si divide spesso in diversi rami
formando diverse isole fluviali, la più grande delle quali (escludendo quelle
presenti alla foce) è l'Isola Serafini, situata nei pressi della foce dell'Adda a Castelnuovo Bocca d'Adda, ma estesa circa
10 km² all'interno del comune di Monticelli d'Ongina.
Complessivamente il Po attraversa (dalla sorgente alla foce) 13
province: Cuneo, Torino, Vercelli e Alessandria (regione Piemonte), Pavia, Lodi,Cremona e Mantova (regione Lombardia), Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Ferrara (regione Emilia-Romagna) e Rovigo (regione Veneto). Sono 183 i comuni
rivieraschi (che toccano le sponde del fiume) appartenenti alle 13 province
rivierasche del Po”
La strada
bianca ci guida tranquilla sull’argine fra pioppeti e chiaviche di bonifica.
Sono tante le carraie che scendono nel golenale fra i pioppeti. Spesso sono
ingannatrici, e si fermano nel mezzo del bosco o davanti ad un campo, altre
volte collegano fra loro i diversi boschi e le diverse colture. Sono comunque
da evitate assolutamente dopo le piene del Po o dopo lunghe piogge.
All’altezza
di Coltaro la ciclabile ritorna ad essere asfaltata e può essere
percorsa da qualche automezzo.
Il nome sembra derivare dal latino Caput
Tari, dato dal fatto che Coltaro si trovava probabilmente tra i fiumi Po e Taro, in corrispondenza della foce di quest'ultimo, che oggi si trova
più ad ovest.
Le prime notizie si hanno in un placito di Ottone III di Germania del 5 aprile 989 al Vescovo di Parma Sigifredo II: si tratta di
una conferma dei diritti della sua Chiesa su Borgo San Donnino, sulla Badia di Berceto,
sulla Città di Parma per tre miglia intorno alle mura e di altri privilegi
"juxta acquae alveum e Capite Tari usque ad Bovem cursum". In seguito
in un atto di donazione di una corte della contessa Ferlinda, datato 6
settembre dell'anno 1000, si fa riferimento a Coltaro e ad altri paesi del
comune di Sissa.
In un documento del 1080 Coltaro è ricordato come un'isola e già nel 1152 si trovano notizie di alluvioni.
Successivamente, nel 1195, l’imperatore Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, confermò al Vescovo di Parma i diritti e i privilegi della Chiesa di Parma “et in aliis terris
in Coltaro, in Sissa, in Pizo e in Palasone”. Nel XV secolo,
per intercessione dei monaci benedettini di Sanguigna, il Governatore di Parma concede il beneficio delle “Comunaglie”
agli abitanti che avevano innalzato alcune opere difensive della loro vasta
Corte, seriamente minacciata dalle acque del Po. Tracce delle prime divisioni
dei terreni si trovano in una mappa del 1588. Una ordinanza dello Stato
Parmense del 1715 stabilì che le terre, che fossero in seguito venute a
formarsi, dovevano appartenere agli abitanti del luogo.
Con decreto del 30 settembre 1820 la Duchessa Maria Luisa
d'Asburgo-Lorena stabilì le norme per la
suddivisione di dette terre alluvionali:
Noi Maria Luigia principessa imperiale e arciduchessa
d'Austria, volendo esaudire le preci degli abitanti della Villa di Coltaro
abbiamo determinato che le comunaglie possono essere divise tra gli abitanti
di quel comunello che ivi abbian casa propria ed in essa faccian fuoco, od
antichi originari d’esso Comunello, che hanno per infortunio perduto la
casa »
|
avrebbe avuto successivamente il primo appezzamento nuovamente
formatosi o resosi libero. Vi era inoltre regolato il diritto alla successione.
Le inondazioni non furono le sole tragedie che colpirono gli
abitanti del paese, ma anche le epidemie di peste che portarono morte e povertà
nel 1348, nel 1361 (allora la pestilenza durò ben 6 mesi) e nel 1629, quando
l'epidemia interessò quasi tutta l'Italia settentrionale, con particolare
riguardo alla Lombardia.”
Viaggiamo
sull’argine del Po ancora pochi chilometri ed arriviamo a sfiorare le acque del
fiume.
Siamo alla
Nautica di Torricella
dove un parco giochi, ristorante, piscina, attracco per barche e barconi sono un riferimento importante per le popolazioni rivierasche. Non si può che scendere un attimo dall’argine per salutare il Grande Fiume di Guareschiana memoria. Continuiamo sull’argine ancora per poco. Passiamo una grande cava e giriamo a sinistra per entrare nell’abitato di Torricella .
“La piccola frazione del Comune di Sissa ha origini lontanissime
nel tempo. Infatti la presenza di terremare nei pressi di
Torricella documenta la presenza dell’uomo in quel sito, come viene segnalato
nella Carta topografica
delle terremare (Pigorini e
Strobel, 1864, tav. IX). Sulla base dei materiali disponibili il sito risulta
dunque attivo nel XIII sec. A.C. Più difficile è ipotizzare l’effettivo
impianto dell’abitato. Comunque anticamente il villaggio, per la sua vicinanza
al Po, svolse un ruolo di qualche rilievo tra il Po e il Taro.dove un parco giochi, ristorante, piscina, attracco per barche e barconi sono un riferimento importante per le popolazioni rivierasche. Non si può che scendere un attimo dall’argine per salutare il Grande Fiume di Guareschiana memoria. Continuiamo sull’argine ancora per poco. Passiamo una grande cava e giriamo a sinistra per entrare nell’abitato di Torricella .
Dal “Vocabolario topografico dei Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla” di Lorenzo Molossi, edito in Parma dalla Tipografia Ducale 1832-1834, si traggono le seguenti notizie storiche.
“TORRICELLA, villa del Comune di Sissa in riva al Po, distante miglia 1 ¾ circa
all’est dalla foce del Taro, 2 al nord nord-est dal capoluogo, 16 al nord
nord-ovest da Parma. La parrocchia è arcipretura pievana di libera collazione.
Popolazione 686. Vi risiede un Sott’ispettore di Finanza ed una Dogana
confinaria. Pel passaggio del fiume vi si tengono un porto e due battelli.
Il castello, sì nominato nelle Istorie, che quivi sorgeva tra il Po e il Taro, e che tuttavia gagliardo reggevasi in piedi nella metà del XVI secolo, fu per le acque rovinato ed oggidì non ne apparisce orma. Fu posseduto dai Terzi. Presidiavanlo i Veneziani nel 1427, allorquando Filippo Maria, duca di Milano, lo fece stringere ed assalire dalla parte di terra e da quella del Po. Resisterono essi con molto vigore, ma alfine dovettero rendersi. Secondo l’Angeli, il duca Filippo Maria lo vendè a Pier Maria Rossi; rovinata questa famiglia, passò agli Sforza. Appresso lo ebbe Alessandro Sforza, conte di Pesaro, al cui figlio Costanzo d’Aragona fu assegnato in feudo nel 1475 dal duca Galeazzo Maria. Morto Costanzo, continuarono a possederlo Camilla, vedova di lui, e Giovanni, suo figlio; ma Lodovico XII, re di Francia, conquistato il Milanese, ne fece dono con Atto dell’11 Novembre 1499 ai fratelli Angelo, Pietro, Paolo e Francesco Simonetta, i discendenti de’ quali lo hanno poi sempre posseduto con titolo di Contea.
Anche nel 1551 quel castello, essendo stato ben munito da Ottavio Farnese, resistè ai colpi delle imperiali artiglierie.
Vi fu un Convento di Minoriti fondatovi nel 1606 dai Simonetta.
Torricella fu patria ad Alessandro Gaboardo, letterato di vaglia che fiorì nel principio del secolo XVI, zio ad un Francesco Cardani della stessa terra, che non mancò né pur esso di lettere”.”
Il castello, sì nominato nelle Istorie, che quivi sorgeva tra il Po e il Taro, e che tuttavia gagliardo reggevasi in piedi nella metà del XVI secolo, fu per le acque rovinato ed oggidì non ne apparisce orma. Fu posseduto dai Terzi. Presidiavanlo i Veneziani nel 1427, allorquando Filippo Maria, duca di Milano, lo fece stringere ed assalire dalla parte di terra e da quella del Po. Resisterono essi con molto vigore, ma alfine dovettero rendersi. Secondo l’Angeli, il duca Filippo Maria lo vendè a Pier Maria Rossi; rovinata questa famiglia, passò agli Sforza. Appresso lo ebbe Alessandro Sforza, conte di Pesaro, al cui figlio Costanzo d’Aragona fu assegnato in feudo nel 1475 dal duca Galeazzo Maria. Morto Costanzo, continuarono a possederlo Camilla, vedova di lui, e Giovanni, suo figlio; ma Lodovico XII, re di Francia, conquistato il Milanese, ne fece dono con Atto dell’11 Novembre 1499 ai fratelli Angelo, Pietro, Paolo e Francesco Simonetta, i discendenti de’ quali lo hanno poi sempre posseduto con titolo di Contea.
Anche nel 1551 quel castello, essendo stato ben munito da Ottavio Farnese, resistè ai colpi delle imperiali artiglierie.
Vi fu un Convento di Minoriti fondatovi nel 1606 dai Simonetta.
Torricella fu patria ad Alessandro Gaboardo, letterato di vaglia che fiorì nel principio del secolo XVI, zio ad un Francesco Cardani della stessa terra, che non mancò né pur esso di lettere”.”
Atraversiamo
il piccolo abitato rivierasco e per strada asfaltata andiamo in direzione di
Sissa.
Entriamo nel paese di Sissa. Ci dirigiamo verso il centro
storico che attraversiamo con poche pedalate. Lasciamo alla nostra sinistra il
parco della Montagnola e la Rocca dei Terzi.
“Probabilmente il castello a difesa del feudo di Sissa era già presente nell'XI secolo,
forse lo stesso conquistato daiTerzi all'inizio del Trecento,
munito al punto da resistere anche ai tremendi assalti dei Rossi all'inizio
del secolo successivo, ma non allo smantellamento voluto dalla Repubblica di
Venezia in seguito al suo intervento a sostegno dei Terzi (1424).
Della costruzione primitiva venne mantenuto il mastio ma abbattute le mura, e ricostruito il tutto in chiave assai più residenziale nel 1440. La rocca subì saccheggio nel 1551 durante nuovi scontri fra Rossi e Terzi, che videro la prevalenza ancora una volta di questi ultimi, destinati a governare su Sissa fino al 1758.
Gran parte dell'aspetto attuale della rocca è frutto di una
ristrutturazione settecentesca che ha collegato l'antico torrione-mastio
cinquecentesco con i corpi residenziali laterali facendogli assumere l'aspetto
di un palazzo signorile.
Il mastio conserva ancora l'aspetto antico, con caditoi e beccatelli; è scomparso il ponte levatoio; le parti settecentesche si notano negli inserimenti in cotto (finestre, fasce marcapiano, scalette, bugnati). Interventi di restauro recente sono avvenuti a livello della scala laterale a est (ricostruita negli anni '50 del XX secolo) e lo scalone d'ingresso, che nel 1986 è stato completamente rifatto in cemento armato e legno.
All'interno si trovano vaste aule settecentesche con volte a vela e a
crociera (una delle quali, con l'affresco del Giorno che scaccia la notte di Sebastiano Galeotti) funge
da sala consiliare. Medaglioni ovali a soggetto mitologico corrono lungo le
pareti dello scalone rifatto in marmo. Al primo piano si trova l'atrio
con un Ganimede rapito sul
soffitto. Il resto delle decorazioni sparse sono lacerti.
In una stanza è custodito un orologio esemplare di indiscusso valore, in ferro forgiato a due treni, restaurato e perfettamente funzionante: al tempo fu posto sulla torre e poiché a carica manuale richiedeva la presenza costante di un addetto. La campana dove batteva le ore è datata 1548 ma l'orologio è senza dubbio di parecchi anni più vecchio.”
In fondo a
Via Matteotti giriamo a sinistra per via Minzoni e poi a destra per via
Grancia.
Troveremo
le indicazioni per la ciclotaro.
Ci vuol
poco tempo ad uscire dal piccolo paese. Andiamo in direzione della frazione
di Palasone .
Proseguiamo
fra le ville della periferia sissese e giriamo a destra sempre in
direzione Palasone. Circa 800m dopo anziché girare per la frazione Palasone
andremo dritti puntando all’argine del fiume Taro davanti a noi. 200 m dopo
pieghiamo ancora a sinistra. Ignoriamo la strada che
torna verso Sissa e poco dopo andremo ancora a destra per salire sull’argine
del fiume Taro. In caso di errore il consiglio è quello di salire dove si può
sull’argine del Taro. Il fondo è in ghiaia e si fatica solamente un po’ di
più. L’importante è di andare in direzione Trecasali, quindi girare a destra.
Tutti
queste deviazioni in genere di 90° sono dovute alla sistemazioni dei campi e
dei poderi che risentono ancora delle centuriazioni romane. La strada che
abbiamo percorso, da sempre dava ai proprietari dei poderi la possibilità di
accedere al fiume e ai campi e boschi del golenale.
Un’altra
asperità è fatta! Siamo sull’argine del Taro.
“Il Taro (Tà in lingua ligure; Tär in dialetto
parmigiano) è un fiume
dell'Emilia-Romagna, affluente di destra del Po, che con un
corso lungo 126 km scorre interamente nella Provincia
di Parma.
Il fiume nasce dall'Appennino
Ligure sul monte Penna,
precisamente a Santa Maria del Taro, nella zona
di confine fra la Provincia di Genova e laProvincia di Parma scorrendo
inizialmente con corso estremamente accidentato. Da qui bagna svariati centri
fra i quali Casale, Bedonia eCompiano
Nei pressi della la cittadina di Borgo Val di Taro il
fiume riceve rispettivamente da destra il torrenteGotra e
presso l'abitato, il torrente Tarodine.
Da qui il fiume bagna Ostia
Parmense incrementando le dimensioni del
proprio letto e scorrendo accanto all'autostrada della Cisa. Il fiume
giunge poi a Fornovo di Taro dove
raddoppia di dimensioni e portata grazie alla confluenza da sinistra
del Ceno, suo fiumegemello nonché principale
tributario, anch'esso proveniente dal monte Penna. Da questo
punto in poi il fiume diviene assai ampio raggiungendo in alcuni punti il Km
di larghezza e diramandosi in svariati bracci minori. Raggiunto poi il centro
di Ponte Taro il
fiume viene scavalcato prima dalla Via Emilia e poi
dall'Autostrada Milano Bologna, dopo di che
riceve da sinistra il torrente Recchio.
Qui placa il suo impeto restringendo il proprio letto e bagnando con corso meandriforme
i centri di Viarolo,Trecasali e Sissa. Un ultimo affluente raggiunge il fiume
presso Fontanelle: il
torrente Stirone dopo di che il Taro sfocia da destra
nel Po nelle
vicinanze di Gramignazzo”
Stiamo
percorrendo la ciclotaro che ci accompagnerà fino a Viarolo.
La frequentazione di questa ciclabile è notevole. Si incontrano ciclisti, podisti e anche amanti dello sci di fondo che si allenano con gli ski roll. Passiamo l’abitato di Trecasali e la frazione S.Quirico (alla nostra sinistra), con rapido saliscendi passiamo sotto il ponte del Taro nei pressi di S.Secondo e proseguiamo la nostra pedalata in allegria. Il fiume taro (in controcorrente) ci accompagna allegro. Non è difficile scorgere pescatori immersi nell’acqua . Anche il fiume Taro, nel suo percorso di pianura disegna ampie anse, il suo letto volte è molto ampio, in altre occasioni si restringe fortemente (dopo il ponte di S.Secondo). Anticamente il fiume scorreva più a Ovest, poi è stato forzato dentro gli attuali argini.
Lungo la
ciclabile sono stati posizionati molti cartelli esplicativi riguardanti pesci
e uccelli tipici del fiume.
Se sarà
difficile poter scorgere carpe, e cavedani, o pesce gatti perché nascosti
dall’acqua amica, sarà molto facile poter vedere da pochi passi gli aironi
cenerini, e altri trampolieri che da anni hanno colonizzato la zona. A volte
si possono scorgere all’opera i cormorani che, voracissimi, fanno incetta di
ogni tipo di pesce.
Quando arriviamo a Viarolo la
Ciclotaro finisce con un necessario punto di sosta
Giriamo a
sinistra verso il centro della frazione di Trecasali (Viarolo) e
attraversiamo la Cremonese per immetterci sulla strada Cornazzano
Anche se
non siamo su pista ciclabile il traffico non
è mai problematico e possiamo pedalare con tranquillità, pur
rispettando le ovvie regole del traffico.
Seguiamo
la strada del Cornazzano fino all’incrocio andremo a destra
per strada della Commenda.
IL viaggio
continua tranquillo fra campi coltivati e fossi di irrigazione. L’animo
rilassato dalla tranquilla campagna aiuta a pedalare senza fatica.
Proseguiamo
su strada della Commenda senza curarci di deviazioni varie fino ad arrivare a
Cervara. Passata Cervara sbuchiamo sulla SP 9 che da Parma va a
Colorno via Torrile.
Giriamo a
destra in direzione Baganzola. Questo tratto è abbastanza insidioso a causa
del traffico, ma siamo in presenza di una ampia banchina su cui pedalare.
Entriamo
nell’abitato di Baganzola e attraversiamo la provinciale per
immetterci in Strada Chiesa di Castelnovo. Percorriamo questa via per 200m
circa e poi saliremo sull’argine del torrente Parma . Giriamo a destra in
direzione della Città. Il terzo fiume della
giornata ciclistica ci accompagnerà fino a destinazione .D’ora in poi
percorreremo il suo argine sinistro dove è stata ricavata una splendida pista
ciclabile .
“La Parma è un importante torrente dell'Italia
settentrionale, lungo
92 km, affluente di destra del fiume Po, che si
sviluppa per intero all'interno della provincia
di Parma, in Emilia-Romagna. Ha un'area di bacino di 815 km2.
Nasce alle pendici del monte Marmagna a 1.852 m s.l.m. dal Lago Santo parmense (Parma di Lago Santo, 3º ramo principale) e dai laghetti Gemio e
Scuro (Parma di Badignana, 1º ramo principale), che confluiscono a monte
dell'abitato di Bosco di Corniglio nel corso della Parma propriamente detta.
Nella Parma di Badignana confluisce anche il torrente Parma di Francia o
Parma delle Guandine, che rappresenta il 2º ramo principale.
Scorre con andamento torrentizio verso nord-est giungendo così
presso Langhirano, dove si allarga notevolmente (quasi al pari di una
grossa fiumara), sboccando poi in pianura. Qui entra da sud nella città di Parma, attraversandola
interamente da sud a nord e ricevendo anche da sinistra le acque della Baganza,
suo principale tributario. Uscita dal tratto urbano la Parma prosegue,
pesantemente arginata e con andamento sinuoso, nella Pianura Padana, bagnando il centro di Colorno,
dove riceve le acque del canale Lorno, e giungendo così presso Mezzano Superiore (a pochi chilometri da Brescello),
dove sfocia nel Po.
Peculiare è l'attuale estuario del torrente, che s'immette nel
maggior fiume italiano in controcorrente (cioè rivolto verso ovest) anziché
assecondandone il flusso.
Il corso del torrente Parma nei secoli è cambiato in diversi
punti. Nella zona urbana per esempio l'alluvione del 1177 spostò il letto
della Parma verso ovest di quasi un centinaio di metri. Ne è testimonianza il
ponte romano rinvenuto nella zona della Ghiaia, all'inizio di via Mazzini.
Durante l'alluvione l'antico pons lapidis fu infatti lasciato in secca,
creando le Ghiaie: Piazza Ghiaia a
nord del ponte e la Ghiaia piccola a sud.
Testimonianza degli spostamenti del letto della Parma fuori
città sono le perturbazioni delle maglie centuriali. La centuriazione romana è infatti ancora riconoscibile in molti punti della Pianura
Padana e può aiutare a ricostruire l'evoluzione orografica del territorio.”
Appena
dopo l’abitato di Baganzola incontriamo i sottopassi della A1 e della TAV. La
pista ciclabile scende nel golenale del torrente e risale appena dopo i
ponti. Nelle stagioni piovose, in corrispondenza delle piene della Parma
questo tratto potrebbe essere assai infangato.
e il nuovo Ponte Nord ci accolgono in città. Attraversiamo la strada seguendo le indicazioni di pista ciclabile, gireremo a sinistra e poi subito a destra seguendo Via Europa. Arriviamo al ponte successivo e attraversiamo con attenzione Via Europa. Con molta cautela, arriviamo alla stazione ferroviaria.
Qui
finisce la nostra pedalata. Non resta che fare il biglietto e prendere il
treno per Colorno.
Se
abbiamo un mtb, se abbiamo gamba e voglia potremo rientrare in Colorno
seguendo l’intero argine sinistro
della Parma, come descritto nel percorso Parma-Colorno in mtb
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