In occasione del 200° della nascita di Giuseppe Verdi (il Cigno di Busseto) è doveroso scrivere di un bel percorso ciclabile nelle terre che hanno visto nascere e vivere il grande maestro. Questi territori hanno visto nascere anche ad altri personaggi che hanno dato tanto alla cultura italiana. A pochi metri dalla casa natale di Verdi è sepolto Giovannino Guareschi (padre di Don Camillo e Peppone ) e vivono i figli di dello scrittori. Nell’escursione potremo anche vedere la famosa corte delle Piacentine dove il regista parmigiano Bertolucci (figlio del poeta Attilio) inscenò il film Novecento. In questo film il regista descrisse in modo mirabile la vita contadina di inizio secolo scorso. Per dare ancora più significato al percorso partiremo da Soragna, davanti alla Rocca del principe Meli Lupi (ottimo ciclista). Farà da cornice al giro il Grande fiume che raggiungeremo in quel di Polesine P.se passando da Corte Pallavicina. Il percorso totalmente asfaltato e piano è percorribile tutto l’anno. E’ anche possibile noleggiare le biciclette nei punti nolo-bike a Soragna, Busseto e Polesine P.se
Il percorso descritto in modo abbastanza spartano e con poca poesia è veramente suggestivo e adatto alle gambe di tutti. Le famiglie potranno divertirsi a pedalare nella natura e vedere perle di rara bellezza. Dietro alle immagini che appariranno agli occhi del visitatore si celano secoli di storia e di arte inegualiabili. Il tracciato descritto è un classico del cicloturismo, ma buttando l'occhio qua e la si potranno trarre spunti per successive escursioni in mtb sfruttando argini e strade boschive nei golenali . Partiamo davanti alla Rocca Meli Lupi nel centro di Soragna. Percorriamo Via Cavour e raggiungiamo la piazza del comune e giriamo a sinistra per Strada Provinciale fino all’incrocio con la circonvallazione di Soragna. Giriamo a destra fino a raggiungere il “quartiere” sportivo del paese. Seguiamo le indicazioni che segnalano il “percorso ciclabile Verdi”. Dopo gli impianti sportivi giriamo a destra. Abbandoniamo il centro abitato e ci inoltriamo nella fertile campagna. Giriamo a sinistra e proseguiamo seguendo la stradina fino ad incrociare la nuova tangenziale di Soragna. Con attenzione attraversiamo la strada a traffico veloce e proseguiamo per tranquilla asfaltata di campagna.
La strada prosegue con angoli di 90° seguendo l’andamento dei campi coltivati. Queste strade sono nate seguendo le centuriazioni romane all’inizio e poi seguendo i confini dei poderi ottocenteschi ora ci consentono di pedalare tranquillamente in piena campagna con grande tranquillità. All’incrocio andiamo a destra, e all’incrocio successivo a sinistra. Attraversiamo quindi un rigagnolo in un leggero avvallamento del terreno.
La strada ora diventa
bianca carraia di campagna con ghiaia rada e scorrevole.
Procediamo in allegria ed arriviamo al cospetto della Corte delle Piacentine.
In questo luogo tipico del paesaggio agricolo della Lombardia, Bernardo Bertolucci ambientò il suo film capolavoro: Novecento.
Procediamo in allegria ed arriviamo al cospetto della Corte delle Piacentine.
In questo luogo tipico del paesaggio agricolo della Lombardia, Bernardo Bertolucci ambientò il suo film capolavoro: Novecento.
“La cascina
a corte, o più semplicemente cascina,
è una struttura agricola tipica della Pianura Padana lombarda e in parte piemontese ed emiliana, dove si usa prevalentemente il termine
di corte colonica .I precursori storici
della cascina a corte si trovano nella villa rustica romana e nella grangia
cistercense medioevale. Al X secolo risalgano le prime strutture agricole
che hanno portato alla cascina a corte. Le prime notizie di cascine (all'epoca
dette "cassine")
risalgono al XIII secolo.
La trasformazione delle antiche "cassine"
alla struttura con le caratteristiche tipiche riscontrabili ai nostri giorni,
avvenne fino al XVIII secolo.
La diffusione massima delle cascine avvenne tra il 1700 ed il 1800 epoca a cui risalgono la maggior parte
degli edifici attuali. A partire dal 1750 circa infatti, in concomitanza
dell'organizzazione capitalistica dell'agricoltura, le cascine si diffusero
tantissimo in quanto la struttura stessa della Cascina era perfetta per la
razionalizzazione della produzione.Oggi le cascine più antiche risalgono al 1400-1500-1600. È infatti alla fine
del XV secolo che nasce la Cascina così come la
conosciamo oggi. In questo secolo avviene la trasformazione dell'allevamento
bovino-equino transumante a quello stanziale. Questa rivoluzione, avvenuta di
pari passo con la diffusione delle marcite,
ha fatto nascere la Cascina, una struttura sorta per far vivere assieme gli
antichi allevatori, divenuti stanziali, ed i contadini che già vivevano accanto
ai pascoli trasformati in marcite.Quando vennero espropriati terreni agricoli
alla Chiesa,
vari monasteri si trasformarono in cascine. A partire
dal 1900 esse sono state progressivamente
abbandonate sia per effetto dell'abbandono delle campagne che ha caratterizzato
il Novecento,
sia perché i contadini ritennero più confortevole e sicuro vivere nei centri
abitanti, piuttosto che in mezzo alla campagna. Oggi, molte cascine sono state
abbandonate o, a seguito dell'urbanizzazione, si son trasformate in parrocchie,
scuole, edifici comunali, villette a schiera, ristoranti ed hotel. Tuttavia la
loro presenza nelle campagne è ancora assai diffusa, anche se spesso le
famiglie contadine preferiscono vivere nei centri abitati.
Il film di
Bernardo Bertolucci girato nel 1976,
racconta la cultura contadina e la lotta di classe: Le Piacentine,
perfetto esempio di corte padana e della vita comunitaria che vi si svolgeva,
oggi è un luogo che, grazie al sapiente lavoro di recupero effettuato, svolge
un’importante funzione di memoria e genera una sensazione di pace.
Fino a mezzo secolo fa in questa corte nei pressi di Roncole Verdi, come ben rappresentato da Bertolucci, vivevano decine di famiglie, di quelle numerose, con le porte di casa sempre aperte, con la condivisione di umori, litigi, lavoro, solidarietà.
La storia delle Piacentine risale al 1820. Da sempre azienda agricola chiamata “Corte delle piacentine”, una grande aia in centro lastricata di cotto originale del tempo. L’aia, nelle case coloniche, era uno spazio antistante o, come in questo caso, il centro dell’edificio, dove si batteva il grano, nel periodo della mietitura.
Un centro attorno a cui si sviluppava la vita delle famiglie che vi abitavano, dalle prime luci del mattino a notte fonda, nelle sere d’estate. Sull’aia si celebravano i banchetti nuziali, le feste patronali o quelle legate al ciclo delle stagioni. Ma sempre lì ci si incontrava, i bambini numerosi, si rincorrevano, ci giocavano, si picchiavano salvo poi tornare a fare pace, come le famiglie. La convivenza forzata era un deterrente straordinario per placare gli animi.
Ma la particolarità delle Piacentine è la sua perfetta integrazione con il paesaggio circostante, un paesaggio dove la mano dell’uomo, da millenni, ha inciso profondamente condizionandone profondamente l’utilizzo e la memoria. Come scrive Monica Bruzzone, assegnista all’Università di Parma, nel suo saggio “Allestire le identità culturali…” «Una delle più antiche e maestose modifiche che ancora oggi segna i campi coltivati nella pianura padana appartiene all'epoca romana. Nella divisone dei terreni agricoli i romani hanno effettuato una partizione artificiale del territorio, fatta di linee rette ortogonali tra loro, punteggiata da bassi muri di pietra, da filari di alberi, da percorsi e canali. L’agro centuriato è il paesaggio artificiale che contraddistingue la pianura. Esso colpisce, se lo si osserva dall’alto, per la fortissima eterogeneità di colori e di toni che scandisce il terreno in maniera fortemente artificiale. Una rettificazione imponente che cambia la fisionomia di intere regioni, eppure resta un segno silenzioso a livello del terreno, mentre gli elementi verticali che lo definiscono, sono i filari degli alberi, le torri colombare delle corti agricole, ma anche le incisioni dei canali di irrigazione. Segni di piccola scala, che si rapportano efficacemente con la misura del paesaggi».
Camminando ai lati della perfettissima struttura quadrangolare delle Piacentine, davanti alle case che un tempo erano dei contadini, lungo i porticati che ricoverano gli attrezzi, oppure passando davanti alla casa padronale viene da pensare come un luogo possa assolvere alla funzione di valorizzazione dei valori territoriali e culturali. Viene da immaginarsi le storie di cui sono impregnati i muri e il cotto dell’aia: storie semplici, di gente semplice che faceva leva sulla memoria orale per tramandare esperienza e storia delle genti. Ma comunque storie uniche.
Adatte ad arricchire il valore di unicità che l’ottimo lavoro di restauro ha restituito alle Piacentine, che può costituire un primo passo verso la possibilità di mettere in scena vocazioni del passato come opportunità di sviluppo.
Del resto la struttura si trova nel cuore di un territorio, la Bassa Parmense, che sul passato sta costruendo il proprio presente economico e culturale. La dimostrazione arriva dalla capacità di identificarsi ancora con il Mondo Piccolo di guareschiana memoria, piuttosto che di incentrare la propria identità sulla particolare gastronomia del luogo.”
Fino a mezzo secolo fa in questa corte nei pressi di Roncole Verdi, come ben rappresentato da Bertolucci, vivevano decine di famiglie, di quelle numerose, con le porte di casa sempre aperte, con la condivisione di umori, litigi, lavoro, solidarietà.
La storia delle Piacentine risale al 1820. Da sempre azienda agricola chiamata “Corte delle piacentine”, una grande aia in centro lastricata di cotto originale del tempo. L’aia, nelle case coloniche, era uno spazio antistante o, come in questo caso, il centro dell’edificio, dove si batteva il grano, nel periodo della mietitura.
Un centro attorno a cui si sviluppava la vita delle famiglie che vi abitavano, dalle prime luci del mattino a notte fonda, nelle sere d’estate. Sull’aia si celebravano i banchetti nuziali, le feste patronali o quelle legate al ciclo delle stagioni. Ma sempre lì ci si incontrava, i bambini numerosi, si rincorrevano, ci giocavano, si picchiavano salvo poi tornare a fare pace, come le famiglie. La convivenza forzata era un deterrente straordinario per placare gli animi.
Ma la particolarità delle Piacentine è la sua perfetta integrazione con il paesaggio circostante, un paesaggio dove la mano dell’uomo, da millenni, ha inciso profondamente condizionandone profondamente l’utilizzo e la memoria. Come scrive Monica Bruzzone, assegnista all’Università di Parma, nel suo saggio “Allestire le identità culturali…” «Una delle più antiche e maestose modifiche che ancora oggi segna i campi coltivati nella pianura padana appartiene all'epoca romana. Nella divisone dei terreni agricoli i romani hanno effettuato una partizione artificiale del territorio, fatta di linee rette ortogonali tra loro, punteggiata da bassi muri di pietra, da filari di alberi, da percorsi e canali. L’agro centuriato è il paesaggio artificiale che contraddistingue la pianura. Esso colpisce, se lo si osserva dall’alto, per la fortissima eterogeneità di colori e di toni che scandisce il terreno in maniera fortemente artificiale. Una rettificazione imponente che cambia la fisionomia di intere regioni, eppure resta un segno silenzioso a livello del terreno, mentre gli elementi verticali che lo definiscono, sono i filari degli alberi, le torri colombare delle corti agricole, ma anche le incisioni dei canali di irrigazione. Segni di piccola scala, che si rapportano efficacemente con la misura del paesaggi».
Camminando ai lati della perfettissima struttura quadrangolare delle Piacentine, davanti alle case che un tempo erano dei contadini, lungo i porticati che ricoverano gli attrezzi, oppure passando davanti alla casa padronale viene da pensare come un luogo possa assolvere alla funzione di valorizzazione dei valori territoriali e culturali. Viene da immaginarsi le storie di cui sono impregnati i muri e il cotto dell’aia: storie semplici, di gente semplice che faceva leva sulla memoria orale per tramandare esperienza e storia delle genti. Ma comunque storie uniche.
Adatte ad arricchire il valore di unicità che l’ottimo lavoro di restauro ha restituito alle Piacentine, che può costituire un primo passo verso la possibilità di mettere in scena vocazioni del passato come opportunità di sviluppo.
Del resto la struttura si trova nel cuore di un territorio, la Bassa Parmense, che sul passato sta costruendo il proprio presente economico e culturale. La dimostrazione arriva dalla capacità di identificarsi ancora con il Mondo Piccolo di guareschiana memoria, piuttosto che di incentrare la propria identità sulla particolare gastronomia del luogo.”
Lasciamo “Le Piacentine” e seguendo
la strada bianca ci avviamo verso la frazione di Roncole di Busseto. Pedaliamo qualche centinaio di metri lungo la provinciale
Parma-Busseto e alla sinistra, in prossimità di una piazzetta troviamo la casa
natale di Giuseppe Verdi.
L'abitazione natale di Verdi si trova a Roncole Verdi,
una frazione di Busseto,
in provincia di Parma. si presenta come una casa povera, bassa e lunga, un po'
sghemba, attorniata tutt'intorno da una manciata di piccoli edifici e in
cui è palpabile il senso di grama vita di quei tempi, l'impronta della
fatica, della povertà dignitosa. A piano terra vi era
l'osteria-drogheria di Carlo Verdi e Luigia Uttini, casalinga e allo stesso
tempo filatrice, genitori del futuro compositore, con le finestre barrate per alleggerire la cosiddetta tassa
sull'aria, una delle mille gabelle che complicavano la vita, specie
quella dei più poveri, in inizio Ottocento.
Nei locali destinati oggi ad abitazione dei custodi della casa-museo si trovava
la cucina della vecchia osteria. Poco distante, protetti da un portone, sono situati i locali che servivano da
ricovero per il calesse,
il cavallo, i maiali, le galline, il fieno, il forno, e
la fornacella per il bucato.
Al primo piano, allo sbocco della scala, in una stanzetta
chiusa dal tetto a spiovente, vi era il solaio; poco distante, la stanza dal
soffitto basso e con travi a vista in cui Giuseppe Verdi venne alla luce il 10 ottobre 1813, giorno di domenica e
festa del patrono locale, San Donnino.
L'atto di nascita sarà registrato a Busseto, comune di riferimento.
A quel tempo, Roncole (allora Roncole di Busseto o, più
semplicemente, Le Roncole) faceva parte del territorio
di occupazione francese, fuori cioè dal territorio del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla,
ovvero il Dipartimento del Taro (dal nome del fiume che scendendo dall'Appennino confluisce nel Po) poi annesso al Regno d'Italia.
E’ quasi
d’obbligo la visita alla casa tale del maestro. E’ quasi altrettanto d’obbligo
una visita al cimitero della piccola frazione per porgere omaggio alla tomba di
Giovannino Guareschi che qui è sepolto. Poco più in la, lungo il percorso
ciclabile Verdi, è possibile visitare il museo dedicato allo scrittore di
Fontanelle e dove è possibile parlare con i
suoi figli (chi ha letto i libri di guareschi li conosce sicuramente:
Albertino e la Pasionaria).
Riprendiamo
la pedalata seguendo il percorso ciclabile Verdi alla volta di Busseto.
Percorriamo
la strada Processione e dopo una curva a gomito a destra all’incrocio andiamo a sinistra per circa 500m e poi giriamo a destra lungo il Traversante
Bassa de Maj. Non è pista ciclabile in sede propria ma il traffico è davvero
basso. Poi per
via della Fossa e subito dopo a sinistra. Dopo 300 metri prima della ferrovia
andiamo a destra per pista ciclopedonale. Seguiamo la ciclopedonale fino ad incrociare la provinciale Busseto-Parma. Giriamo a sinistra
verso il centro di Busseto. Attraversiamo la rotonda dirigendoci verso uno stupendo
viale alberato (viale Alfonso Pallavicino). Lo percorriamo interamente passando
di fronte alla stazione FFSS. Seguendo il percorso ciclabile Verdi, arriviamo nel centro storico di Busseto nella piazza dedicata al maestro, dove risiede
il comune, il teatro e casa Barezzi (il mentore di Giuseppe Verdi. Possiamo
visitare sia il Teatro che casa Barezzi. Ora facciamo rotta verso Villa
S.Agata, in territorio piacentino. Percorriamo verso nord la via principale del
paese, girando a sinistra uscendo dalla piazza, e giunti alla piazza
successiva, caratterizzata da un grande parcheggio sulla nostra destra, giriamo
a sinistra e dopo un centinaio di metri, seguendo la segnaletica (percorso
ciclabile Verdi) andremo a destra. Percorriamo la tranquilla stradina di
campagna fino ad una rotonda. Le indicazioni
sembrano sparire. Niente paura. Giriamo a sinistra e dopo pochi metri, dopo
aver passato il ponte sul torrente Ongina (che divide le province di Parma e
Piacenza) giriamo subito a
sinistra tornando in direzione Busseto. Dopo poche centinaia di metri ci troviamo di
fronte a Villa S.Agata.
Villa Verdi a Sant’Agata, una frazione di Villanova
sull’Arda, è la proprietà che Giuseppe Verdi acquistò nel 1848, abitandovi a
partire dal 1851 e rendendola progressivamente sempre più sua.
Fu Verdi, infatti, che eseguì di proprio pugno gli schizzi, dette indicazioni scritte e dettagliate per la scelta dei materiali e le misure del progetto di ampliamento della casa originale, fino a farla diventare come agli volle e come oggi la vediamo. In questo luogo il più celebre compositore italiano visse e lavorò, godendo di un isolamento necessario al suo genio creativo e al suo carattere, schivo e riservato. L’originaria casa padronale di campagna, acquistata da Verdi, divenne così in pochi anni la residenza dove i canoni estetici del tempo e i suoi personali trovano una perfetta realizzazione che, ancora adesso, il visitatore più attento può comprendere e ammirare. Villa Verdi oggi, mantenuta nello stato conservativo dei tempi del grande compositore, rappresenta la migliore chiave di lettura per comprendere lo spirito immortale del genio e dell’uomo Verdi.
Fu Verdi, infatti, che eseguì di proprio pugno gli schizzi, dette indicazioni scritte e dettagliate per la scelta dei materiali e le misure del progetto di ampliamento della casa originale, fino a farla diventare come agli volle e come oggi la vediamo. In questo luogo il più celebre compositore italiano visse e lavorò, godendo di un isolamento necessario al suo genio creativo e al suo carattere, schivo e riservato. L’originaria casa padronale di campagna, acquistata da Verdi, divenne così in pochi anni la residenza dove i canoni estetici del tempo e i suoi personali trovano una perfetta realizzazione che, ancora adesso, il visitatore più attento può comprendere e ammirare. Villa Verdi oggi, mantenuta nello stato conservativo dei tempi del grande compositore, rappresenta la migliore chiave di lettura per comprendere lo spirito immortale del genio e dell’uomo Verdi.
Sono cinque le stanze aperte al pubblico e si
tratta delle stesse stanze, con gli arredi originali, abitate da Verdi e dalla
Strepponi, sua seconda moglie. Si entra nella camera di Giuseppina Strepponi
dove si trova il letto con baldacchino in stile genovese, un reliquiario e un
quadro, entrambi doni degli Asburgo al padre della Strepponi. Mobili
intarsiati, una statuetta caricatura di Verdi eseguita da Dantan e due piccoli
bronzi di Manzoni e Verdi a ottanta anni, sono alcuni degli oggetti che arricchiscono
la stanza. Davanti al letto, inoltre, si può ammirare il busto della Strepponi
ritratta nel 1842 da Tenerani. Dalla camera della Strepponi si passa allo
spogliatoio dove si trovano fra l’altro il piano usato da Verdi negli anni che
vanno dalla composizione di Rigoletto, 1851, a quella di Aida, 1871, il baule
che il Maestro portò a San Pietroburgo per la prima rappresentazione de La
forza del destino. La camera da letto di Verdi è senza dubbio il punto focale
della visita a Villa Verdi: qui il Maestro dormiva e lavorava, proprio allo
scrittoio posto al centro della sala. Sopra il pianoforte, è posto il celebre
busto eseguito da Vincenzo Gemito a Napoli nel 1872; in una teca sono
conservati i guanti che Verdi usò per dirigere la Messa da Requiem il 22 maggio
1874, in commemorazione di Alessandro Manzoni, scrittore al quale era
profondamente legato da stima e amicizia. Dopo la camera del Maestro, lo
studiolo, che conserva gli spartiti per canto e piano di tutte le opere
verdiane e di molti altri musicisti, pagine scritte da Verdi, documenti
relativi ai suoi incarichi politici, un disegno che raffigura Verdi mentre
dirige la prima dell’Aida all’Opéra di Parigi. In una teca sono conservati un
cilindro, la sciarpa di seta bianca e altri oggetti di uso personale del
Maestro. Infine la camera dell’Hotel et de Milan, l’albergo a pochi passi dal
Teatro alla Scala, dove Giuseppe Verdi spirò all’alba del 27 gennaio 1901. I
mobili originali sono stati trasportati a Villa Verdi e successivamente e qui
disposti.
Anche in questo caso
si può perdere un po’ del nostro tempo per una interessante visita alla
casa e allo stupendo parco.
Risalendo in sella, per
proseguire il nostro tour dobbiamo ritornare sui nostri passi (meglio pedalate)
Torniamo al ponticello sull’Ongina e arriviamo alla rotonda. Attraversiamo la
strada e ci dirigiamo in direzione nord verso l’argine maestro del fiume Po.
Ora seguiamo le indicazioni del percorso ciclabile Parma Po che qui inizia . Percorriamo la sponda destra dell’Ongina e poi giriamo a destra sull’argine destro del Po. Tralasciamo le indicazioni che ci invitano ad un noto ristorante locale e giriamo a destra lungo l’argine maestro del Grande Fiume(strada Argine del Po) . Pedalando pedalando arriviamo all’altezza dell’Antica Corte Pallavicina.
Ora seguiamo le indicazioni del percorso ciclabile Parma Po che qui inizia . Percorriamo la sponda destra dell’Ongina e poi giriamo a destra sull’argine destro del Po. Tralasciamo le indicazioni che ci invitano ad un noto ristorante locale e giriamo a destra lungo l’argine maestro del Grande Fiume(strada Argine del Po) . Pedalando pedalando arriviamo all’altezza dell’Antica Corte Pallavicina.
“Costruita agli inizi del 400 su un fortilizio
preesistente dai marchesi Pallavicino di Polesine, l’Antica Corte Pallavicina
presenta magnifiche cantine ove venivano affinati salumi, culatelli, formaggi e
vini. Gli interni subirono un restauro sostanziale durante la metà del 500,
quando i soffitti a cassettoni furono sostituiti con magnifiche volte ad
ombrello. Dopo il 1780 fu trasformata in caserma, dove si stabilirono i
“Dragoni” confinari per cercare di contrastare il fiorente contrabbando
sviluppatosi tra le due sponde del Po. Dopo il 1860 venne suddivisa in piccole
abitazioni ed utilizzata da contadini, pescatori, carrettieri e artigiani.
Nessuno ci aveva più creduto e il Po, spostandosi era arrivato a pochi metri e
se ne era impadronito: la Corte era rimasta dentro al fiume, che la inondava
periodicamente. Ora, dopo un accurato restauro, è tornata agli antichi
splendori.”
Siamo sull’argine Mestro, da una parte, nel golenale l’antica
Corte, una chiesetta di ottima fattura
e un rinomato ristorante, dalla parte opposta il paese di Polesine parmense. Nel golenale è situato anche uno splendido parco in cui si può riposare e fare merenda, è presente anche una stazione del Nolo bike, e fa bella mostra di se un antico albero fossile ripescato dalle acque del fiume. C’è anche un piccolo porticciolo fluviale dove è ormeggiata una motobarca per navigazioni sul fiume.
Spesso nell'area di sosta viene allestito un piccolo mercatino di prodotti locali
. A Novembre viene allestita la locale rassegna di November Porc... Dobbiamo finire il nostro giro e, dopo la sosta pranzo proseguiamo alla volta di Samboseto e Soragna. Pedaliamo sempre sull’argine Maestro, sorpassiamo una grande cava di sabbia e ghiaia e giriamo a destra e scendiamo sulla strada (via Roma). Prendiamo a sinistra e pedaliamo con attenzione. Il traffico non è sostenuto ma le auto hanno l’abitudine di passare veloci. All’incrocio giriamo a destra per circa 500m e al primo bivio, anziche proseguire per la strada principale andiamo dritti per strada secondaria.
e un rinomato ristorante, dalla parte opposta il paese di Polesine parmense. Nel golenale è situato anche uno splendido parco in cui si può riposare e fare merenda, è presente anche una stazione del Nolo bike, e fa bella mostra di se un antico albero fossile ripescato dalle acque del fiume. C’è anche un piccolo porticciolo fluviale dove è ormeggiata una motobarca per navigazioni sul fiume.
Spesso nell'area di sosta viene allestito un piccolo mercatino di prodotti locali
. A Novembre viene allestita la locale rassegna di November Porc... Dobbiamo finire il nostro giro e, dopo la sosta pranzo proseguiamo alla volta di Samboseto e Soragna. Pedaliamo sempre sull’argine Maestro, sorpassiamo una grande cava di sabbia e ghiaia e giriamo a destra e scendiamo sulla strada (via Roma). Prendiamo a sinistra e pedaliamo con attenzione. Il traffico non è sostenuto ma le auto hanno l’abitudine di passare veloci. All’incrocio giriamo a destra per circa 500m e al primo bivio, anziche proseguire per la strada principale andiamo dritti per strada secondaria.
Arriviamo in frazione Ardola dopo aver passato una antica
fornace e all’incrocio andiamo dritti (c’è un leggero destra sinistra) e
proseguiamo per stradina di campagna.Al 30° chilometro giriamo a sinistra
(sempre a 90°) e dopo 500m a destra per circa 1 km dove al bivio gireremo a
sinistra seguendo il corso di un canale di irrigazione. Percorrendo questa
strada (bianca ma scorrevole) potremo notare il grande lavoro demolitore che le
nutrie eseguono lungo gli argini. Potremo ammirare anche fagiani lepri e anche
gli immobili aironi cenerini che, come statue, aspettano la loro preda
al varco. Dopo un altro chilometro ancora una svolta a destra (sempre a 90°) e
percorriamo Strada Rossa in direzione Sud. Arriviamo a Samboseto e
pieghiamo a sinistra.
Dopo circa 500m in corrispondenza di un complesso industriale giriamo a
destra per strada bianca e, sempre in direzione sud ci avviamo alla conclusione
della nostra pedalata. Ora puntiamo verso la
tangenziale di Soragna che attraversiamo dopo 200m circa.
Pieghiamo immediatamente a destra e arriviamo dritti nei pressi del
complesso sportivo di Soragna Ora non dobbiamo fare altro che ripercorrere
il tratto iniziale per giungere nuovamente davanti alla rocca Meli Lupi di
Soragna. Se c’è tempo, la visita al castello del principe Diofebo Meli Lupi è
una perla da raccogliere per completare la giornata di movimento e cultura.
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